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La fermezza dell’Europa e il giusto negoziato


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Occorre che l’Europa faccia, e rapidamente, i conti con la realtà. Il negoziato con l’America di Donald Trump sui dazi deve continuare, come sostengono giustamente vonder Leyen e Giorgia Meloni. L’obiettivo dell’Europa è un accordo equo. Occorre tuttavia che l’Europa mostri determinazione e fermezza. Gli argomenti per farsi valere all’Unione europea non mancano. Oggi le tariffe europee sui beni americani, esclusi i prodotti agricoli, toccano 1 punto percentuale a fronte dell’8,5 percentuale di dazi americani applicati a merci europee.

Al surplus di 198 miliardi di euro dell’Europa con gli Usa sul fronte dei beni, c’è da considerare un disavanzo di 148 miliardi sul fronte dei servizi degli Stati Uniti con l’Europa. Nell’ultimo quinquennio circa 300 miliardi all’anno sono usciti dall’Unione Europea verso gli Usa, un flusso di risparmio europeo utilizzato dai fondi americani per acquistare imprese europee. Gli europei acquistano due terzi del loro equipaggiamento militare dagli Stati Uniti. Un forte flusso di risorse europee verso gli Usa si produrrà in base alle decisioni del vertice Nato.

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Alla cooperazione multilaterale in condizioni di massima apertura reciproca per competere sui mercati con regole condivise si va sostituendo un mondo multipolare, dominato dalla rivalità tra le potenze mondiali, dove le regole di comportamento sono dettate da pochi grandi attori imperiali: gli Stati più grandi, più forti e più armati. In questo contesto emerge quella sorta di “crudo realismo della forza” incarnato da Trump e dai suoi che intendono mettere l’iperpotenza degli Stati Uniti al servizio dei soli interessi americani, fuori dagli obblighi dell’interdipendenza, dalle alleanze tradizionali. Il presidente americano ha dichiarato una guerra commerciale all’intero universo con politiche protezioniste che fanno a pugno con il sistema internazionale propugnato dagli Usa sin dalla fine della Seconda guerra mondiale.

L’Amministrazione Trump ritiene di poter fissare nel proprio esclusivo interesse le regole del commercio internazionale imponendole a tutti gli altri. Un forte aumento dei dazi dovrebbe rendere possibile, questo l’obiettivo dichiarato di Trump, il rilancio della manifattura americana. In realtà, la furia protezionista di Trump non consentirà alcun rientro della manifattura, scrive Marta Dassù, “dopo decenni in cui gli Usa hanno esportato produzione in Asia e si sono concentrati sui servizi e tecnologia”. Non solo. Le risorse estratte dal resto del mondo saranno controbilanciate dal rallentamento dell’economia dovuto all’incertezza e dall’impatto inflazionistico dei dazi, dalla ostilità e contrarietà delle grandi realtà del Sud globale.

All’Unione europea è stata inviata una lettera “capestro” che si conclude con una intimidazione politica: “se provate a reagire alle nostre decisioni, raddoppiamo la dose”. Una intimidazione il cui stampo, a noi italiani del Sud, appare purtroppo noto! Un comportamento che discende dal mutamento intervenuto nel carattere e nel ruolo degli Stati Uniti, da nazione al centro di un ordine economico fondato sulle regole a superpotenza volta a drenare risorse dal resto del mondo facendo leva, per imporsi, sulla sua forza economica e militare. Annunciare il 30% di dazi sull’export dei paesi europei dopo aver fatto sperare in soluzioni migliori è una tattica negoziale con l’obiettivo di spingere singoli paesi a tentare accordi bilaterali, una trappola per l’Unione europea che gli Usa sembrano considerare un pericoloso avversario da tenere sotto scacco e da sfruttare a proprio vantaggio.

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Come già detto, il negoziato deve continuare, e l’obiettivo dell’Europa è un accordo equo. Occorre tuttavia che l’Europa mostri determinazione e fermezza. Una resa politica agli Usa è stato l’accordo al G7 sulla fiscalità generale con la esenzione da ogni imposta alle gigantesche multinazionali americane dei servizi digitali. Come insegna la storia, appeasement verso le tendenze aggressive non pagano. Gli argomenti per farsi valere all’Unione europea non mancano. Oggi le tariffe europee sui beni americani, esclusi i prodotti agricoli, tocccano 1 punto percentuale a fronte dell’8,5 percentuale di dazi americani applicati a merci europee; al surplus di 198 miliardi di euro dell’Europa con gli Usa sul fronte dei beni, c’è da considerare un disavanzo di 148 miliardi sul fronte dei servizi degli Stati Uniti con l’Europa.

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Nell’ultimo quinquennio circa 300 miliardi all’anno sono usciti dall’Unione europea verso gli Usa, un flusso di risparmio europeo utilizzato dai fondi americani per acquistare imprese europee. Gli europei acquistano due terzi del loro equipaggiamento militare dagli Stati Uniti. Un forte flusso di risorse europee verso gli Usa si produrrà in base alle decisioni del vertice Nato. Come scrive uno storico liberale acuto quale Alessandro Campi “se gli Usa “minacciano” l’Unione europea, quest’ultima deve evidentemente “minacciare” in modo credibile gli Stati Uniti sullo stesso terreno, nel senso di far capire a questi ultimi che “la guerra dei dazi” rischia di vedere entrambi perdenti. L’Europa ha molti punti di forza che lo scivolamento degli Usa verso l’irrazionalità e l’illiberalismo sta facendo riscoprire: un Pil dieci volte superiore a quello di Mosca, talenti, cervelli e risparmi, un grande mercato di 450 milioni di consumatori, una governance fondata su un solido stato di diritto e una moneta stabile, l’euro. Ha le carte in regola per fronteggiare le sfide radicali poste dalle scelte di potere dell’Amministrazione Trump. Ha l’opportunità e il dovere, senza ambizioni egemoniche, di agire da protagonista per contribuire al ristabilimento di un ordine commerciale globale equo, un regime di scambi regolati ma aperti.





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