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L’IVA relativa a operazioni ad attività preparatorie di operazioni esenti è indetraibile


La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15638/2025, si è pronunciata in ordine al rimborso IVA relativo ad attività preparatorie l’inizio di un’attività imprenditoriale, che avrebbe dato luogo a sole operazioni non soggette a IVA (operazioni esenti), ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, 30, comma 2, e 38, D.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 168, Direttiva 2006/112/CE.

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La Corte di Cassazione ha, dapprima, ritenuto di precisare come sulla questione abbia già  chiarito, con la sentenza n. 4931/2025, che l’art. 19, Decreto IVA, in conformità con l’art. 17, VI Direttiva (come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia), non ammette la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi afferenti al successivo compimento di operazioni esenti (o comunque non soggette a imposta), atteso che, in base alla normativa citata, ai fini della detrazione, non è sufficiente che le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa (principio di inerenza), essendo anche necessario che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA. Ne deriva il corollario che l’esclusivo compimento di operazioni “esenti”, da parte di un imprenditore, comporta la totale indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti, anche in ordine all’attività preparatoria delle medesime. Il principio di diritto della Cassazione appare condivisibile.

Il fattore che determina il regime fiscale, ai fini dell’IVA, è l’attività nella quale i beni e i servizi sono destinati ad essere impiegati. Se tale attività è per legge esente, non rileva la mera connessione temporale degli acquisti dei beni e servizi, ma solo il loro raccordo causale con le operazioni a valle. In tal senso, è chiara la portata normativa dell’art. 19, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, a mente del quale: «Non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette ad IVA». Il rapporto di scopo insito “nell’afferenza” implica, con chiarezza d’intenti legislativi, una connessione causale non raccordata al tempo, ma alle operazioni nelle quali si verificherà il consumo dei beni e dei servizi.

L’indirizzo appare, peraltro, consolidato da parte del giudice di Cassazione, sulla scorta dei principi affermati dalla stessa Corte di Giustizia (in tal senso, anche Cass. n. 7209/2015, n. 18219/2007 e n. 26290/2005). L’indetraibilità dell’IVA, in ordine ai beni e servizi correlati a operazioni esenti, è del tutto conforme al diritto comunitario, e, in particolare, alla previsione di cui all’art. 17, Direttiva 1977/388/CEE, avendo la stessa Corte di Giustizia affermato che, ai sensi della citata disposizione, il diritto alla detrazione dell’IVA riguarda soltanto i beni e i servizi che vengono utilizzati ai fini delle operazioni soggette a IVA, dal momento che il sistema comune persegue l’obbiettivo della piena a neutralità fiscale di tutte le attività economiche, quali che siano le loro finalità o i loro risultati, alla sola condizione che esse siano assoggettate, in linea di principio, a IVA (in tal senso, CGUE, C-408/98, 22.2.2001, Abbey National; C-174/08, 29.10.2009, NCC Construction Danmark). In sintesi, il giudice di Cassazione ha convenuto il principio di diritto secondo il quale, anche se le operazioni passive in contestazione siano del tutto effettive e inerenti all’oggetto sociale dell’impresa, il diritto alla detrazione dell’IVA riguarda soltanto i beni e i servizi utilizzati ai fini delle operazioni del soggetto passivo soggette a IVA.

L’esame della questione, non trattata in sentenza, può essere ampliato alle attività preparatorie di operazioni promiscue esenti e imponibili. In tal caso, la soluzione deve, in primis, essere considerata alla luce delle prescrizioni del comma 4 dell’art. 19, D.P.R. n. 633/1972, per il quale: «Per i beni ed i servizi in parte utilizzati per operazioni non soggette ad IVA, la detrazione non è ammessa per la quota imputabile a tali utilizzazioni e l’ammontare indetraibile è determinato secondo criteri oggettivi con la natura dei beni e servizi acquistati». In altri termini, qualora, ad anteriori, sia disponibile un parametro distintivo che, su base oggettiva –  con esclusione, quindi, di congetture estimative soggettive  – consenta di definire il quantum dei beni e dei servizi che verranno utilizzate nelle 2 aree di attività,  la quota di IVA detraibile/indetraibile dovrà venire sin da subito commisurata all’individuata prospettica promiscuità di consumo dei beni e servizi.

In caso contrario, provvede l’ultimo inciso del comma 2, dell’art. 19, D.P.R. n. 633/1972, che fa salvo il disposto dell’art. 19-bis.2, D.P.R. n. 633/1972, il quale disciplina i vari meccanismi della rettifica IVA. Ne deriva che il diritto della detrazione IVA può essere fruito per intero, salvo la verifica a posteriori dell’effettiva misura di consumo dei beni e servizi nei 2 segmenti di attività, con l’impiego correttivo degli strumenti normativi della rettifica.

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La sentenza in esame, relativa al regime della detrazione IVA in ordine alle attività preparatorie, non appare, però, dotata di simmetria di scrutino con la sentenza n. 3875/2025, pur essa recente, della Cassazione, che si è pronunciata in ordine al regime della detrazione IVA nel caso di liquidazione coatta amministrativa di una società che svolgeva attività assicurativa esente da IVA, statuendo che gli acquisti di beni e servizi durante il periodo della liquidazione vanno assoggettati all’ordinario regime impositivo che consente la detraibilità dell’IVA, indipendentemente dal compimento di operazioni attive. Ora, se è senz’altro da condividere il fatto che anche la liquidazione continua a preservare l’ordinario regime d’impresa e che la detrazione dell’IVA e la portata disciplinare dei relativi rimborsi è del tutto non condizionata dal raccordo temporale con le operazioni attive, non assumere a rilevanza che l’attività cessata della società in liquidazione è avvenuta in esclusivo regime di esenzione IVA, non appare, a parere di chi scrive, manifestare coerenza proprio con i principi statuiti dalla Cassazione nella sentenza da cui è dipartita l’indagine che si propone.

A tal proposito, è necessario riprendere la scrittura del comma 2, dell’art. 19, D.P.R. n. 633/1972, per il quale, come già sopra rappresentato (raccordandolo, per ragioni di maggiore chiarezza, a una lettura in positivo, come il principio risulta scritto nella Direttiva IVA, anziché in negativo, come invece ha proceduto il Legislatore nazionale) l’IVA degli acquisti di beni e servizi è detraibile se connessa a operazioni imponibili o che comunque consentono la detrazione IVA a monte. Da tale correlazione appare evidente che è pur sempre un’intersezione causale di operazioni a monte e a valle a definire il diritto della detrazione IVA, per cui gli acquisti di beni o di servizi per garantire il diritto alla detrazione devono poter venire connessi a delle operazioni attive, non potendo rimanere causalmente agnostici. O quindi, gli acquisti dei beni e servizi effettuati durante la liquidazione rimangono sprovvisti di una qualsiasi giustificazione causale con le operazioni attive e allora l’IVA è indetraibile, per mancanza dell’imprescindibile fattore di raccordo richiesto dal comma 2, dell’art. 19, D.P.R. n. 633/1972 (le operazioni a valle), o si ritiene che tali operazioni, anche se postergate alla cessazione dell’attività assicurativa, siano da ritenersi in ogni caso strumentali all’attività esente nella sua fase di chiusura, per cui, anche in tal caso, l’IVA si rivela indetraibile per la ricongiunzione con operazioni esenti.

Le riportate sentenze della Cassazione (n. 15638/2025 e n. 3875/2025,) sono distanziate solo di alcuni mesi, ma anche la vicinanza delle pronunce non serve, all’evidenza, a evitare manifeste asimmetrie di giudizio. A rimetterci è sempre la certezza del diritto a cui proprio la Cassazione è costantemente tenuta a esserne garante e custode.



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