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vicini a una bozza, ma l’intesa non c’è ancora


Roma, 24 luglio 2025 – Le ultime ore prima della scadenza del negoziato tra Stati Uniti e Unione europea si stanno consumando in un clima di forte attesa. Dopo settimane di colloqui tecnici e pressioni diplomatiche, Bruxelles ha condiviso con i 27 ambasciatori uno schema dettagliato di accordo commerciale con Washington: una tariffa unica del 15% su tutte le esportazioni reciproche, sul modello dell’intesa già firmata dagli Stati Uniti con il Giappone. La proposta è stata ben accolta dalla maggior parte dei Paesi membri, che la considerano una mediazione accettabile per evitare l’escalation minacciata dal presidente Donald Trump, con dazi generalizzati al 30% in caso di rottura. La firma sull’accordo, però, non c’è ancora e come fanno sapere fonti diplomatiche, “la decisione finale spetta a Trump“. Un accordo è vicino, ma non è detto che si chiuda. Il presidente americano, intervenendo a un evento pubblico a Washington, ha legato in modo diretto la riduzione dei dazi all’apertura dei mercati europei: “Se l’Unione europea accetterà di aprire alle imprese Usa, abbasseremo i dazi”. E ha aggiunto: “I dazi sono importanti, ma l’apertura di un Paese penso sia più importante per le nostre imprese”.  

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Il modello dell’accordo: tariffe fisse, esenzioni settoriali, acciaio al 50%

Lo schema sul tavolo riprende in gran parte la formula utilizzata con il Giappone: dazio uniforme al 15%, applicato a tutti i prodotti, con alcune esenzioni settoriali ancora da negoziare. L’obiettivo è disinnescare la minaccia di dazi al 30% mantenendo una certa reciprocità tariffaria, nel rispetto della clausola MFN (nazione più favorita), che oggi regola lo scambio Usa-Ue con una media del 4,8%. La novità centrale riguarda il comparto auto: le esportazioni europee verso gli Stati Uniti, oggi soggette a dazi del 25-27,5%, beneficerebbero di una riduzione al 15% in cambio dell’accettazione, da parte dell’Ue, di alcuni standard tecnici americani nel settore automobilistico e della componentistica. Al contrario alcuni settori rimarrebbero fuori dal perimetro dell’accordo. In particolare l’acciaio, su cui gli Stati Uniti manterrebbero la tariffa punitiva del 50%. Secondo fonti europee le esenzioni possibili includono l’aeronautica, dispositivi medici, prodotti agricoli selezionati, legname e bevande alcoliche. Al momento non è previsto, come nel caso giapponese, un piano di investimenti europei diretti negli Usa a corredo dell’intesa.

L’Italia rischia una stangata da 23 miliardi

Secondo una simulazione del centro studi Confindustria se i dazi al 15% dovessero diventare realtà, l’Italia perderebbe circa 22,6 miliardi di euro di export verso gli Stati Uniti, pari a un terzo delle vendite attuali. Si tratterebbe di una vera stangata per il made in Italy, con conseguenze rilevanti soprattutto per i settori ad alto valore aggiunto. Tra i comparti più colpiti in valore assoluto, Confindustria indica i macchinari, la farmaceutica, l’alimentare e l’automotive. L’impatto sarebbe aggravato dalla svalutazione del dollaro, che ha già perso il 13,5% sull’euro da inizio anno, rendendo le merci americane più competitive e quelle italiane più care. Una sorta di dazio occulto, che si somma a quello ufficiale. Secondo gli analisti del centro studi, ogni punto percentuale in più di dazi o di svalutazione del dollaro può valere circa un miliardo di euro in meno di esportazioni. Anche nello scenario più ottimistico, con dazi al 10% e un recupero del dollaro, le perdite resterebbero vicine ai 17,6 miliardi. “Il più grande dazio che già abbiamo è quello della svalutazione, che sarà ancora più alta. La percentuale accettabile è zero”, ha dichiarato il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini.

Se salta l’accordo Bruxelles è pronta al bazooka

Nel caso in cui il negoziato con Washington dovesse arenarsi, l’Unione europea ha già predisposto il piano di contromisure. La Commissione ha accorpato in un unico pacchetto le due liste di contro-dazi già esistenti: una da 21 miliardi di euro, in risposta alle tariffe su acciaio e alluminio, e una seconda da 72 miliardi, preparata dopo il cosiddetto ‘Liberation Day’ americano. Il nuovo pacchetto da 93 miliardi di euro verrà votato dal Comitato europeo per le barriere commerciali, ma entrerà in vigore solo dopo il 7 agosto, lasciando ancora margine al dialogo. Oltre a questo strumento, l’Ue è pronta ad attivare lo “strumento anti-coercizione”, su cui si è registrata un’ampia maggioranza tra i 27 Paesi membri. Il meccanismo permetterebbe di introdurre dazi mirati, limitazioni su investimenti e servizi, l’esclusione da appalti pubblici e persino la revoca di diritti di proprietà intellettuale per aziende statunitensi. Tra le misure ipotizzate, c’è anche una stretta sulle big tech americane, con tasse sulla pubblicità online e limitazioni all’accesso ai mercati finanziari europei. Un vero e proprio ‘piano B’ di ritorsione.

Le reazioni politiche tra diplomazia e allarmi

La diplomazia europea resta attiva, ma si moltiplicano le preoccupazioni nei principali Paesi dell’Unione. “Ancora la trattativa è in corso quindi è difficile fare previsioni. Il 15% era una delle proposte degli americani, un dazio piatto per tutti. Però la trattativa è aperta”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenendo a 4 di Sera News su Retequattro. Tajani ha anche sottolineato la questione del cambio euro-dollaro: “L’euro è troppo forte rispetto al dollaro, serve un’azione forte della Bce, come durante il Covid, per tagliare ancora il costo del denaro. Un euro forte significa dazi ancora più pesanti, è un sovrapprezzo oltre al dazio”. Dalla Germania il cancelliere Friedrich Merz ha parlato di “decisioni imminenti” e della necessità di una linea comune tra i partner Ue. Sempre da Berlino, il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito: “Vogliamo stabilità, e che i dazi siano più bassi possibile”. Infine il premier spagnolo Pedro Sanchez ha proposto di istituire un fondo europeo per le imprese colpite, finanziato con le eventuali entrate da contro-dazi, affermando: “La risposta deve essere europea. Se una guerra commerciale sarà inevitabile, l’Ue deve essere all’altezza delle aspettative di imprenditori e imprenditrici”. È certo che se entro pochi giorni non arriverà il via libera della Casa Bianca, l’Europa sarà costretta a scegliere tra accettare il compromesso o innescare una guerra commerciale a tutto campo.

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