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Data Center in Italia: investimenti record, nuove regole e tecnologie all’avanguardia per diventare hub digitale europeo


Miliardi in arrivo da big tech e fondi infrastrutturali. Milano e Roma in prima linea, ma il Sud si muove. E intanto prende forma la prima legge italiana dedicata al settore

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L’Italia si sta imponendo come un hub strategico per i servizi digitali in Europa, grazie a un mix di investimenti senza precedenti, innovazione tecnologica e i primi passi verso una regolamentazione organica del settore data center.

Oltre alla posizione geografica strategica, è la maturazione del mercato e l’evoluzione normativa a rendere il nostro Paese sempre più attrattivo. Secondo l’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano, gli investimenti toccheranno i 15 miliardi di euro entro il 2026, con un’accelerazione di 10 miliardi solo tra il 2025 e il 2026. Il valore complessivo supera già i 4 miliardi, con 176 data center attivi (fonte Data Center Map) che collocano l’Italia al quarto posto in Europa continentale dietro Germania, Francia e Paesi Bassi (quinto se si considera anche il Regno Unito).

La rete infrastrutturale è in forte espansione, supportata da una fibra ottica tra le più avanzate, dal 5G e da collegamenti sottomarini con i principali mercati globali.

Milano guida, il Sud rincorre

Milano è il motore della crescita del settore, con 238 MW IT installati (+34% in un anno), rientrando nella top 15 europea e spingendo la Lombardia a superare Madrid con 318 MW. Il triangolo Milano–Monza–Pavia concentra un terzo della capacità nazionale, ma anche Roma, Torino, Bologna e Genova guadagnano terreno. A livello nazionale, l’Italia raggiunge 513 MW IT (+17% annuo) e oltre 333.000 mq di superficie operativa, con circa 40mila addetti. Tuttavia, l’85% della capacità resta concentrata tra Milano e Roma. Il Mezzogiorno, pur essendo punto di approdo per cavi internazionali, fatica a intercettare investimenti.

Data center: investimenti miliardari per il mercato italiano

L’elenco degli investimenti in corso in Italia è lungo e in continua espansione. Il Belpaese si sta affermando come una delle destinazioni più ambite per i colossi del cloud, grazie a un mercato in rapida espansione e a una domanda interna sempre più evoluta.

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Amazon Web Services (AWS), grazie anche agli incentivi del Decreto Asset, investirà 1,2 miliardi di euro in Lombardia. Microsoft ha annunciato un piano da 4,3 miliardi di euro per rafforzare le infrastrutture cloud e le soluzioni di intelligenza artificiale nel Paese. A questi si aggiungono importanti operatori come Virtus Data Centres (attiva a Cornaredo con un progetto da 70 MW su un’ex area industriale) ServiceNow e OVHcloud, che ha scelto la Lombardia per aprire entro fine 2025 una nuova regione cloud composta da tre Availability Zone. A Segrate, CyrusOne svilupperà un data center da 54 MW, già progettato per il riutilizzo del calore, mentre a Roma, Mediterra DataCenters, insieme al fondo DWS, punta a rilanciare il polo Tier IV Cloud Europe, orientato alla massima affidabilità e sicurezza.

Sul fronte nazionale, Aruba ha avviato la costruzione del primo edificio del suo campus hyperscale alle porte di Roma, che alla fine comprenderà cinque data center indipendenti. Tim ha annunciato un investimento di 130 milioni di euro per un nuovo centro nella Capitale, che si aggiunge alla sua rete nazionale di 16 data center, con l’obiettivo di raggiungere una capacità complessiva di 125 MW.

Grande attesa circonda il progetto di Apto, fondata da ex dirigenti di Equinix e Stack, che realizzerà a Lacchiarella, vicino Milano, uno dei più grandi campus europei con 228.000 mq di superficie e 300 MW di potenza IT distribuiti su cinque strutture.

Tra le iniziative pubbliche e accademiche, spicca l’inaugurazione di un data center alimentato esclusivamente da fonti rinnovabili presso l’Università di Pisa, mentre in Trentino il progetto DataMine sfrutta una miniera attiva per garantire isolamento elettromagnetico e protezione fisica.

Il panorama italiano presenta quindi modelli di business diversificati. I grandi hyperscaler statunitensi (AWS, Microsoft, Google) investono in infrastrutture proprietarie integrate con il cloud pubblico. Altri operatori globali come Equinix, Colt, Stack e CyrusOne puntano su colocation e wholesale, lasciando ai clienti la gestione diretta dei server. Parallelamente, cresce il segmento edge, sempre più strategico per applicazioni a bassa latenza, con protagonisti come Sparkle, Leonardo e alcune multiutility (tra cui Hera e IREN) impegnati in nuovi progetti.

A garantire la dimensione pubblica e la sovranità digitale è il Polo Strategico Nazionale, promosso da Tim, Leonardo, Sogei e CDP Equity, con l’obiettivo di offrire una piattaforma cloud sicura per la gestione dei dati critici della Pubblica Amministrazione.

Data center: il mercato globale

Il mercato globale dei data center è valutato circa 300 miliardi di dollari nel 2024, e si prevede che possa raggiungere oltre 480 miliardi entro il 2029, con un tasso di crescita medio annuo vicino al 10%, spinto dalla crescente domanda di cloud computing e intelligenza artificiale.

Gli Stati Uniti sono i leader indiscussi, con un giro d’affari che supera i 123 miliardi di dollari. Importante investimento recente è quello di OpenAI, la società di ChatGPT, che ha ottenuto un finanziamento da 11,6 miliardi di dollari per ampliare un grande data center in Texas, portando il valore complessivo dell’iniziativa a 15 miliardi. Segue la Cina, con un mercato che vale circa 96 miliardi, consolidando il suo ruolo di attore primario nella competizione globale.

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In Europa, si distinguono Germania (18,7 miliardi), Regno Unito (17,2 miliardi) e Francia (11,7 miliardi) come mercati maturi. Anche i mercati emergenti attraggono capitali rilevanti. In Polonia, Microsoft ha stanziato 700 milioni di dollari per espandere le infrastrutture cloud e AI, mentre Google ha avviato un progetto da 2 miliardi. La Finlandia ospita un investimento da 1 miliardo da parte di TikTok, che ha annunciato anche un maxi-piano da 8,8 miliardi di dollari in Thailandia, raddoppiando il proprio impegno nella regione nel corso dei prossimi cinque anni.

Nel Medio Oriente, l’Arabia Saudita ha lanciato il programma “Humain”, dedicato all’intelligenza artificiale, con un budget di 100 miliardi di dollari, mentre gli Emirati Arabi Uniti collaborano con partner statunitensi per realizzare un cluster di data center da 5 gigawatt, candidandosi come nuovo hub strategico per il settore.

Le prospettive globali sono caratterizzate da una crescita strutturale, legata alla necessità di infrastrutture sempre più potenti, resilienti ed efficienti per sostenere applicazioni digitali avanzate, dalla generazione di contenuti AI alla gestione del cloud ibrido. E in questo scenario competitivo, l’Italia è protagonista.

Verso una legge nazionale per i data center

Il rapido sviluppo dei data center in Italia ha reso evidente l’urgenza di un quadro normativo chiaro, omogeneo e aggiornato, in grado di accompagnare la crescita del settore e attrarre investimenti. Dopo anni di vuoto legislativo, un primo riconoscimento ufficiale è arrivato nel gennaio 2025, con l’introduzione di un nuovo codice Ateco che identifica formalmente i data center come infrastrutture strategiche distinte.

Il passo decisivo, però, potrebbe arrivare con una legge nazionale ad hoc, attualmente in fase di definizione parlamentare. Cinque proposte bipartisan (Azione, Lega, Fratelli d’Italia, PD e M5S) sono state riunificate dalla IX Commissione della Camera in un testo base per una legge quadro di delega al Governo. L’obiettivo è superare la frammentazione normativa esistente, armonizzare i processi autorizzativi su scala nazionale e definire standard comuni in materia di sostenibilità, energia e localizzazione.

Come osserva Sherif Rizkalla, presidente dell’Italian Datacenter Association (IDA), il settore ha bisogno di “regole certe, tempi rapidi e riconoscimento esplicito da parte dello Stato”, un’esigenza condivisa da tutti gli operatori in campo.

Nel frattempo, alcune Regioni si sono mosse. La Lombardia ha approvato nel 2024 linee guida che distinguono cinque categorie di data center per potenza elettrica assorbita: un modello replicabile, già preso a riferimento in Puglia.

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A livello centrale, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) ha pubblicato ad agosto 2024 un documento con criteri ambientali per promuovere uno sviluppo sostenibile dei data center: efficienza energetica, uso prioritario di rinnovabili e riutilizzo di aree industriali dismesse. Un ruolo strategico è svolto anche dall’Umasi (Unità di Missione per l’Attrazione e Sblocco degli Investimenti), istituita presso il Mimit, che ha il compito di facilitare e accelerare l’iter autorizzativo per i progetti considerati strategici, intervenendo in caso di inerzia da parte delle amministrazioni locali.

Uno degli ostacoli principali per gli operatori resta la complessità del sistema autorizzativo. I tempi lunghi, la frammentazione delle competenze e i vincoli ambientali rappresentano un freno allo sviluppo. Le linee guida regionali cercano di semplificare le procedure, ma una normativa nazionale rimane indispensabile. Le soglie di potenza dei gruppi elettrogeni incidono sulle procedure (VIA, AIA), e anche sotto i 50 MWt i vincoli ambientali sono spesso stringenti. Il codice Ateco è un primo passo, ma non copre ancora aspetti cruciali come la selezione dei siti o l’approvvigionamento energetico, entrambi elementi determinanti per la localizzazione e la sostenibilità degli impianti.

Un altro tema critico è l’accesso all’energia. In Irlanda i data center consumano oltre il 20% della produzione elettrica; in Italia l’impatto è minore, ma sarà necessario potenziare la rete e investire in rinnovabili e tecnologie come i reattori modulari (Smr).

Infine, la legge dovrà bilanciare gli interessi dei grandi operatori globali con la tutela dell’ecosistema digitale nazionale. Le infrastrutture medie e piccole, spesso italiane o europee, sono cruciali per garantire sovranità e controllo sui dati.

Tecnologie, sostenibilità e competenze

La crescita dell’industria dei data center in Italia non si misura solo in megawatt e superficie operativa, ma nella qualità tecnologica e nella capacità di affrontare sfide sempre più complesse. L’ascesa dell’intelligenza artificiale e dei modelli generativi sta riscrivendo le regole dell’infrastruttura digitale, imponendo nuovi standard in termini di potenza computazionale, efficienza energetica e progettazione. È necessario un ripensamento profondo di tutta la catena tecnologica: dall’alimentazione al raffreddamento.

In questo contesto, soluzioni come il raffreddamento a liquido si stanno rapidamente affermando per la loro capacità di gestire carichi termici elevati in spazi contenuti. Il mercato globale di queste tecnologie è atteso superare i 13 miliardi di dollari entro il 2029. Parallelamente, si diffonde il principio del “heat reuse“: il calore generato dai server viene recuperato per alimentare reti di teleriscaldamento urbano, come nei progetti Avalon 3 di Retelit a Milano o negli impianti di CyrusOne.

 

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Un altro fronte innovativo è quello delle microgrid: reti locali basate su fonti rinnovabili e sistemi di accumulo, che offrono maggiore autonomia e resilienza. I data center di nuova generazione integrano inoltre Gpu ad alte prestazioni, architetture modulari, free-cooling e obiettivi di Pue (Power Usage Effectiveness) inferiori a 1,2 – un salto netto rispetto ai valori storici superiori a 1,5.

La sostenibilità è quindi ormai un asset centrale per un data center. Operatori come Aruba e Apto hanno così investito in impianti fotovoltaici, batterie di accumulo, energia rinnovabile certificata e standard ambientali (LEED, ISO 50001, Carbon Trust), rispondendo alla crescente attenzione di clienti istituzionali e investitori.

La sfida, però, è anche industriale e geopolitica. La Commissione europea ha indicato chiaramente che la sovranità digitale passa dal controllo delle materie prime critiche – come chip, Gpu e materiali avanzati – e dalla creazione di una filiera continentale per progettazione, collaudo e produzione. L’Italia, in questo scenario, può attrarre poli R&D e impianti produttivi, ma servono investimenti strategici e una visione di lungo termine.

Sullo sfondo restano due nodi strutturali. Il primo è lo squilibrio territoriale: l’85% della capacità installata è concentrata tra Milano e Roma, mentre ampie aree del Paese restano escluse dalla trasformazione digitale. Il secondo è la carenza di competenze. Mancano sistemisti, tecnici di sala, ingegneri cloud, progettisti. Secondo il Politecnico di Milano, la domanda di profili tecnici e ingegneristici supera di gran lunga l’offerta disponibile.

Qualcosa però si muove: università, aziende e pubbliche amministrazioni stanno avviando programmi formativi mirati. Ma il ritmo è ancora troppo lento. Il solo piano di espansione di Amazon Web Services in Italia prevede oltre 5.500 nuovi posti di lavoro entro il 2029: un’opportunità concreta per rilanciare l’occupazione qualificata, a patto di costruire un ecosistema formativo all’altezza.

Per trasformare l’attuale fase espansiva in una leadership stabile, l’Italia deve accelerare su tre fronti: innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e capitale umano. Solo così potrà rivendicare un ruolo strategico nella nuova economia europea del cloud e dei dati.

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