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in G.U. la L. 89/2025 in materia di economia dello spazio


L’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo

In primo luogo, la Legge Spazio adotta un principio di territorialità, per cui le relative disposizioni si applicano, a prescindere dalla nazionalità degli operatori, alle aree sottoposte alla sovranità dello Stato italiano. In secondo luogo, le stesse si applicano anche alle attività spaziali condotte dagli operatori nazionali al di fuori del territorio italiano (art. 3).

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Tale scelta appare coerente con i trattati internazionali, che prevedono la responsabilità degli Stati per le attività condotte dai propri cittadini: si consideri, ad esempio, quanto disposto dall’Outer Space Treaty e peraltro declinato anche nella Liability Convention (“Gli Stati contraenti assumono responsabilità internazionale per le loro attività nazionali nello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, siano esse condotte da Organi governativi o da Enti non governativi, e garantiscono che le attività stesse saranno condotte conformemente alle norme formulate nel presente Trattato. Le attività nello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, di Enti non governativi, devono essere autorizzate e sottoposte a continua sorveglianza da parte dello Stato responsabile, partecipe del Trattato” Outer Space Treaty, art. VI).

Fatta tale premessa, occorre precisare che destinatario della norma è l’“operatore” o “operatorespaziale”, ossia la “persona fisica o giuridica che conduce, o intende condurre, sotto la propria responsabilità, attività spaziali” (art. 2, comma 1, lett. m)).

Dal punto di vista oggettivo, invece, vengono in rilievo su tutti gli “oggetti spaziali”, ossia “l’oggetto spaziale, ciascuno dei suoi elementi, il veicolo di lancio e ciascuno degli elementi di quest’ultimo” (art. 2, comma 1, lett. l)).

In particolare, in assenza di “oggetti spaziali” non risulta che gli operatori possano condurre “attività spaziali”, definite come: “il lancio, il rilascio, la gestione in orbita e il rientro di oggetti spaziali, compresi lo smaltimento dalle orbite terrestri e la rimozione di oggetti, i servizi in orbita, l’assemblaggio e l’utilizzo di stazioni spaziali orbitanti nonché la produzione di oggetti nello spazio extra-atmosferico e sui corpi celesti; l’esplorazione, l’estrazione e l’uso delle risorse naturali dello spazio extra-atmosferico e dei corpi celesti, in conformità agli strumenti giuridici adottati a livello internazionale; il lancio, il volo e la permanenza, di breve odi lungo periodo, di esseri viventi nello spazio extra-atmosferico e sui corpi celesti; le attività condotte attraverso le piattaforme stratosferiche e i razzi sonda; ogni altra attività realizzata nello spazio extra-atmosferico e sui corpi celesti da operatori cui si applica la presente legge” (art. 2, comma 1, lett. a)).

Difatti, per quanto ampia, la definizione di “attività spaziali” nel suo tenore letterale non sembra ricomprendere tutte le attività svolte senza l’ausilio di “oggetti spaziali”, eppure strettamente legate al settore spaziale, come ad esempio l’analisi dei dati del c.d. downstream.

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L’autorizzazione per l’esercizio delle attività spaziali e l’obbligo di garanzia assicurativa

Tra le disposizioni cardine della Legge Spazio devono essere menzionati i requisiti e le procedure per l’ottenimento dell’autorizzazione a svolgere attività spaziali. A beneficio della semplificazione e rapidità dei processi, l’art. 4, comma 2, prevede che l’autorizzazione richiesta possa avere ad oggetto (i) una singola attività spaziale, (ii) più attività spaziali dello stesso tipo, (iii) più attività spaziali di tipo diverso tra loro interconnesse o (iv) più satelliti facenti parte di una medesima costellazione.

Si tratta, evidentemente, di una scelta duttile e si crede lungimirante, che si distanzia da quanto previsto in gran parte dei Paesi europei, come Belgio, Olanda e Norvegia, ove l’autorizzazione viene rilasciata in relazione a singole operazioni.

L’ottenimento dell’autorizzazione è subordinato anzitutto al possesso di requisiti oggettivi di idoneità tecnica, che saranno declinati in uno o più DPCM di futura adozione (art. 13). Tali requisiti dovranno in ogni caso essere ispirati ai principi di (i) sicurezza delle attività spaziali in tutte le loro fasi, dalla progettazione al rientro degli oggetti spaziali, (ii) di resilienza delle infrastrutture satellitari rispetti ai rischi informatici, fisici e di interferenza e di gestione degli incidenti e (iii) di sostenibilità ambientale, anch’essa rapportata all’intero ciclo di vita degli oggetti spaziali (art. 5).

Tra i requisiti di carattere soggettivo, anch’essi da meglio declinarsi in DPCM di futura pubblicazione (art. 13), di particolare rilievo è l’obbligo di concludere un contratto assicurativo a copertura dei rischi di sinistro (art. 6, comma 1, lett. d)).

La copertura assicurativa deve anzitutto essere stipulata nei termini disposti dall’eventuale provvedimento autorizzativo, così come adottato dall’Autorità responsabile (i.e., ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), il Presidente del Consiglio dei ministri o l’Autorità politica delegata alle politiche spaziali e aerospaziali ai sensi dell’art. 21, comma 2, del D.Lgs. 128/2003).

Particolarmente rilevante è poi il massimale previsto per ciascun sinistro, che deve essere pari a 100 milioni di euro (art. 21, comma 1). Tuttavia, considerata la composizione dell’industria spaziale italiana, i decreti attuativi della Legge Spazio potranno prevedere fino a tre fasce di rischio a cui si applicheranno massimali gradatamente inferiori. I diversi massimali dovranno essere parametrati al dimensionamento dell’attività spaziale, alle esperienze pregresse nelle attività spaziali, al livello orbitale in cui gli oggetti spaziali si muovono, nonché alla durata e alla tipologia dell’attività spaziale e non potranno comunque essere inferiori a 50 milioni di euro per sinistro o a 20 milioni di euro per sinistro pergli operatori che perseguono esclusivamente finalità di ricerca o che si qualifichino come start-up innovative (art. 21, comma 2).

Il procedimento di rilascio dell’autorizzazione, per quanto preveda il coinvolgimento di numerosi attori, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Autorità responsabile, il Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale (COMINT), risulta particolarmente agile, prevedendo il termine massimo per il rilascio dell’autorizzazione di centoventi giorni dalla presentazione della domanda.

Più in generale, il procedimento di autorizzazione e le successive attività di vigilanza risultano coerenti con l’obiettivo del legislatore di accompagnare ed incentivare lo sviluppo della nostra industria. Ad avviso di chi scrive, tale è la ratio sottesa, ad esempio, al conferimento del potere all’Autorità responsabile di sospendere o dichiarare la decadenza dell’autorizzazione qualora il termine per l’avvio delle attività spaziali ivi stabilito non sia rispettato dall’operatore (art. 9, comma 1, lett. b)).

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Nello stesso solco, può ben inserirsi l’obbligo per gli operatori spaziali di comunicare l’inizio di ciascuna operazione spaziale e di trasmettere semestralmente una relazione all’ASI (art. 11, comma 5).

Il recepimento delle convenzioni internazionali

Il titolo III e IV della Legge Spazio sono evidentemente destinati a recepire e declinare le previsioni già presenti nelle convenzioni internazionali e, nello specifico, nella Registration Convention del 1975 e nella Liability Convention del 1972.

Nel merito, gli artt. 15 e 16 di fatto recepiscono gli obblighi di tenuta di un registro nazionale degli oggetti spaziali immatricolati, nonché di comunicazione dele informazioni rilevanti alle Nazioni Unite. In particolare, ciò avviene dettagliando le informazioni che l’operatore rilevante è tenuto a comunicare all’Agenzia Spaziale Italiana.

Con riguardo, invece, ai regimi di responsabilità, risulta interessante notare come gli artt. 18-20 della Legge Spazio declinino il duplice regime di responsabilità – oggettiva e per colpa – degli Stati per i danni cagionati dagli operatori e di cui alla Liability Convention.

Difatti, similmente a quanto previsto nella citata convenzione, l’art. 18 introduce un regime di responsabilità oggettiva dell’operatore per i danni avvenuti sulla terra o nello spazio aereo. In particolare, tale responsabilità sarà ascrivibile all’operatore a meno che questi non provi che i danni sono stati causati dal dolo di un terzo la cui condotta non poteva essere impedita oppure che il danno derivi da fatto colposo del terzo, eventualmente anche in concorso ai sensi dell’art. 1227 c.c.

Inoltre, il comma 5 dell’art. 18 opera un rinvio alla disciplina di cui al codice civile per quel che attiene ai danni causati a soggetti che abbiano partecipato a qualsiasi titolo all’attività spaziale, portando quindi in rilievo gli istituti sia della responsabilità contrattuale, sia della responsabilità civile.

In aggiunta, gli artt. 19 e 20 recepiscono il regime di responsabilità dello Stato, con riguardo i danni a cui questo è chiamato a rispondere ai sensi della Liability Convention, specificamente prevendendo la facoltà di rivalsa sull’operatore privato a cui è ascrivibile l’evento di danno.

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Conclusioni e il Piano nazionale per l’economia dello spazio

L’intervento normativo in esame non può che essere accolto con favore e ciò almeno per due ordini di ragioni. Da un lato, la crescente rilevanza delle attività spaziali latamente intese, da quelle prettamente scientifiche a quelle più smaccatemene economiche, imponeva l’attenzione del legislatore sul settore. Ad avviso di chi scrive, infatti, l’assai risalente quadro normativo che disciplina le attività spaziali, di matrice pattizia e internazionale, sta sempre più mostrando la propria inadeguatezza a regolare l’attuale scenario della new space economy. Se, infatti, i fenomeni di più recente interesse (si pensi, ad esempio, alla gestione degli impatti ambientali, dei detriti spaziali o del rischio cibernetico) non sono, evidentemente e ratione temporis, regolati dalle norme esistenti, lo sforzo interpretativo è stato finora necessariamente volto a comprendere come le disposizioni dei trattati e delle convenzioni internazionali potessero adattarsi allo stato dello sviluppo tecnologico e agli usi contrattuali correnti. Ciò porta ad un’incertezza interpretativa, di fronte alla quale sia gli operatori del settore, che quelli del diritto, devono costantemente vagliare se e in che misura sia possibile ragionare per analogia.

Tale sforzo, per quanto necessario e lodevole, non risulta in ogni caso idoneo a garantire l’indispensabile chiarezza normativa di cui il settore necessita soprattutto in una fase di crescente sviluppo.

Al contempo, se diversi Paesi europei (e.g., Belgio, Francia e Germania) si sono già dotati di una legge che regolamenti le attività spaziali e i tempi per l’adozione dello EU Space Act risultano ancora lunghi (si pensi che la proposta della Commissione sarà pubblicata a fine giugno 2025), con la Legge Spazio l’Italia si dota finalmente di regole per l’accesso allo spazio extra-atmosferico, volte a promuovere la competitività nazionale in questo settore.

In tal senso, si auspica che siano di stimolo al tessuto industriale spaziale italiano, non soltanto il nuovo quadro normativo, ma anche le attività di analisi, studio e incentivo per le imprese previste dal Piano nazionale per l’economia dello spazio, istituito dalla Legge Spazio.

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