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LE SFIDE DEL LAVORO/ I vantaggi e i costi delle migrazioni


L’aumento dei flussi migratori provenienti dai Paesi con bassi redditi pro capite viene considerata dagli economisti, dai demografi e da una buona parte del ceto politico come la risposta principale, la più efficace nel breve periodo, per rimediare le conseguenze dell’impatto negativo del declino demografico sulla popolazione in età di lavoro e per garantire la sostenibilità delle prestazioni sociali. Il tema assume un particolare rilievo nel nostro Paese che deve fare i conti con una riduzione di circa 5 milioni di persone in età di lavoro entro il 2040, con il contemporaneo pensionamento delle generazioni dei baby boomer e con il prevedibile aumento del numero delle persone non autosufficienti.

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La domanda di lavoratori immigrati da parte delle imprese risulta in costante aumento. Allo stato attuale, secondo le stime effettuate dal sistema Excelsior Unioncamere-Ministero del Lavoro, è equivalente a circa il 20% delle potenziali assunzioni. In parallelo è aumentata anche la programmazione delle nuove quote di ingresso riservate ai lavoratori provenienti da Paesi extracomunitari, circa mezzo milione tra il 2022- 2025, un numero pressoché analogo a quello previsto da un atto recente approvato dal Consiglio dei ministri, per soddisfare il fabbisogno previsto per i prossimi tre anni, e che saranno assegnate con i bandi annuali distribuiti per settori e territori, tramite “click day”.



Alla soddisfazione dei fabbisogni del mercato del lavoro concorrono anche le migrazioni interne della popolazione italiana e, in particolare, dei cittadini stranieri già residenti in Italia, stimolate dalla diversa concentrazione delle opportunità di lavoro nei territori e nei settori delle regioni del Nord Italia.

Sul versante opposto, l’emigrazione di una quota della popolazione residente dalle aree del Mezzogiorno sottrae un potenziale di risorse umane, per la maggior parte qualificate, per lo sviluppo delle economie locali. Inoltre, tra il 2014 e il 2024 sono espatriate circa 1,7 milioni di persone (tra le quali 470 mila stranieri) a fronte di 3,760 milioni di nuovi ingressi (con 570 mila rimpatri di italiani). Il saldo migratorio rimane ampiamente positivo, ma non per la quota dei giovani laureati.

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L’effetto virtuoso dei flussi migratori verso il nostro Paese è confermato dal saldo demografico offerto dalle persone provenienti da altri Paesi extracomunitari o aderenti all’Ue, circa 6,7 milioni a partire dagli anni ’90 dello scorso secolo, considerando anche le nascite nel nostro territorio, e le cittadinanze italiane rilasciate nel corso degli anni 2000.

Tutto bene dunque? Purtroppo, l’andamento demografico è solo uno dei complementi necessari per valutare la sostenibilità dei flussi migratori. Un altro, forse più importante, riguarda la qualità dei percorsi di integrazione. Che dipendono principalmente dalla possibilità di avere un’occupazione e un reddito dignitosi da parte dei lavoratori stranieri. Da questo punto di vista gli indicatori non sono affatto buoni. Poco meno del 30% delle famiglie e il 35% delle persone di origine straniera, secondo l’Istat, versa in condizioni di povertà assoluta. Alla tendenza negativa concorrono diversi fattori.

Una buona parte dei circa 2,5 milioni di occupati stranieri, svolge mansioni con bassa qualificazione, in settori caratterizzati da lavori a termine, stagionali e da una rilevante quota di lavoro sommerso (agricoltura, servizi alle persone, edilizia, attività commerciali). Per molte comunità di origine il tasso di occupazione relativo risulta compromesso da quello di inattività delle donne e dal numero delle persone a carico che è aumentato per effetto delle ricongiunzioni familiari.

Nei comparti citati in precedenza, la crescita della domanda di lavoratori stranieri coincide con il basso utilizzo ufficiale di quelli regolarmente residenti, che risulta molto al di sotto degli orari annuali previsti dai contratti collettivi di lavoro. La programmazione e l’assegnazione delle quote d’ingresso con le modalità del click day non risulta coerente con l’esigenza di soddisfare i fabbisogni di lavoratori qualificati segnalati dalle indagini del sistema Excelsior, che richiedono inevitabilmente dei percorsi di selezione e formazione personalizzati.

Nonostante il miglioramento delle procedure finalizzate a ridurre l’utilizzo strumentale delle quote per favorire l’ingresso di cittadini extracomunitari sulla base offerte di lavoro inesistenti, il numero dei datori di lavoro e dei lavoratori che attivano un contratto di lavoro risulta inferiore al 30% rispetto a quello dei cittadini stranieri che hanno ottenuto il nulla osta per entrare in Italia.

Le migrazioni interne consentono di compensare i fabbisogni della domanda di lavoro, in particolare delle regioni del Nord Italia, con un impatto positivo anche sulla crescita della popolazione residente in queste aree che compensa abbondantemente il saldo negativo tra le morti e le nascite e l’esodo di una quota non marginale di giovani laureati settentrionali che si trasferiscono in altri Paesi europei.

Diversamente l’esodo dei giovani neolaureati dalle regioni del Mezzogiorno (107 mila tra il 2019 e il 2024) accelera lo spopolamento delle aree interne (con punte con punte vicine al -10 per mille in Calabria, Basilicata e Molise) e compromette la possibilità di una crescita economica dei territori interessati.

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Queste contraddizioni emergono nel nostro Paese in coincidenza di un tasso di occupazione, anche degli immigrati, largamente inferiore a quello degli altri Paesi europei. Mettono in evidenza che non esiste una relazione automatica e virtuosa tra l’aumento dei flussi migratori e i benefici che ne possono derivare per l’economia, per il mercato del lavoro e per il finanziamento delle prestazioni sociali. In alcuni casi, vedi l’alimentazione del lavoro sommerso e lo spopolamento delle aree interne, possono compromettere la crescita dell’economia e della produttività.

Questo non significa affatto rinunciare a impostare una politica migratoria, ma cercare di renderla coerente con gli obiettivi di migliorare la quantità, la qualità dell’occupazione e l’attrattività del nostro mercato del lavoro.

Le modalità della programmazione devono essere coerenti con l’esigenza di aumentare il tasso di utilizzo dei lavoratori immigrati già residenti. Un obiettivo che potrebbe essere favorito dalla formazione di liste di disponibilità per le assunzioni nei comparti caratterizzati da prestazioni stagionali e a termine, combinate con diritti di prelazione riservati per i lavoratori formalmente disoccupati e percettori di sostegni al reddito che hanno già operato in questi settori.

La gestione delle nuove quote d’ingresso per i lavoratori extracomunitari deve essere personalizzata, coerente con i profili professionali richiesti dalle imprese, o dalle agenzie di intermediazione delegate dai datori di lavoro. Per questa finalità potrebbero essere utilizzati dei permessi di soggiorno per motivi formativi convertibili in quelli per motivi di lavoro.

La creazione della Zona economica speciale per attrarre i nuovi investimenti nelle regioni del Mezzogiorno dovrebbe essere affiancata da incentivi e misure rivolte a qualificare l’ingresso lavorativo e a potenziare la domanda di giovani laureati con la riapertura delle assunzioni nelle Pubbliche amministrazioni e dalla mobilitazione della domanda di lavoro attivata dagli investimenti pubblici.

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