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A Napoli si sta sviluppando un “distretto del digitale”, e c’entra la Apple


Secondo una stima del 2021 di Apple, i posti di lavoro legati al suo App Store in Italia sono almeno 85.000, tra sviluppatori, designer ed esperti di marketing digitale: come se venisse impiegata un’intera città della grandezza di Como o Catanzaro. È un mercato che si espande, rapidamente e in tutta Europa. Secondo una stima indipendente più aggiornata, il numero di addetti supera i 100mila. L’Italia non è prima in Europa in questo, ma ha un altro primato: l’unica Apple Developer Academy in Europa si trova a Napoli, ed è stata avviata nel 2016 in collaborazione con l’università Federico II. In quasi dieci anni questa collaborazione tra pubblico e privato ha diplomato oltre 2.500 allievi e avviato molti di loro alla carriera di programmatore per iOS, il sistema operativo di Apple.

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Se Apple ha scelto Napoli è innanzitutto perché la città da sempre ha facoltà tecnico-scientifiche di livello. Le sue cinque università hanno ricercatori che sono in alto nelle classifiche mondiali per impatto scientifico delle pubblicazioni, e un elevato numero di startup. A tre anni dal titolo, l’89 per cento dei laureati in discipline STEM (acronimo inglese che sta per Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) della Federico II, il principale ateneo della città, ha trovato lavoro. Tuttavia, a Napoli sono poche le imprese ad alta tecnologia e la quota di occupati nell’industria elettronica e nelle tecnologie di comunicazione è appena dell’1,4 per cento sul totale degli addetti dell’industria, circa la metà di altre grandi città.

Qualche anno fa, la vicepresidente di Apple Lisa Jackson disse che «questa è la capitale italiana degli sviluppatori». Ma ora Napoli non è più solo la città degli sviluppatori: sta nascendo una specie di “distretto del digitale” – cioè un settore produttivo concentrato geograficamente – fatto anche di imprese. Sono filiali di multinazionali ma anche imprese locali, che si scambiano conoscenze (e addetti) e hanno strette relazioni con la ricerca universitaria degli atenei cittadini. Secondo dati dell’Istat, in quattro anni (tra il 2018 e il 2022) le imprese napoletane di questo comparto sono aumentate del 33 per cento. Per capire che ruolo ha avuto Apple in questo sviluppo, bisogna guardare a cosa ha fatto in questi anni a Napoli.

La Apple Academy è nella periferia est, nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, che nel Novecento era assai industrializzato: ospitava raffinerie, cementifici, aziende della cantieristica navale e di costruzioni ferroviarie, fonderie, industrie alimentari e chimiche. Di questo passato sono visibili alcune tracce un po’ malinconiche, che contrastano con i tratti moderni del nuovo polo decentrato della Federico II. Dalle vetrate dell’Academy si vedono i resti della Cirio, la fabbrica di pelati un tempo simbolo di una certa napoletanità da cartolina. Se ci si gira verso le aule, invece, si vedono studenti con visori ottici davanti a grandi lavagne digitali, che lavorano in gruppo o chiacchierano in inglese sui divanetti.

Fa un certo effetto pensare che questo quartiere abbia uno dei tassi di dispersione scolastica più alti della città e del Sud, e che al tempo stesso ospiti un centro avanzato di innovazione digitale.

Il percorso della Academy è biennale, i corsi sono in inglese e sono gratuiti per chi vi partecipa. La selezione è globale: la percentuale di allievi non italiani è quasi del 50 per cento. C’è chi arriva anche da Messico, Uzbekistan, Iran e ci sono anche molti diciottenni, perché non serve una laurea per accedere. A San Giovanni a Teduccio vengono realizzati circa 150 prototipi di applicazioni all’anno e in media una cinquantina viene pubblicata sull’App Store di Apple. Spaziano dai giochi educativi alle applicazioni per contenere lo spreco alimentare. Alla fine di giugno, 320 allievi hanno ottenuto il diploma e presentato i loro lavori a potenziali investitori nella cosiddetta Future Fair. Il 70 per cento degli allievi trova un’occupazione qualificata entro 6 mesi dalla fine del corso: ad assumere sono grandi aziende tecnologiche e grandi e-commerce (Spotify, Shazam, Amazon, ASOS, IBM), oppure aziende digitali italiane di primo piano come Yoox-Net-A-Porter.

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Ci sono almeno due fattori che hanno contribuito a questo successo. Il primo è l’uso integrato di finanziamenti pubblici e privati. Il campus dove c’è la Academy è stato costruito con fondi europei e un cofinanziamento regionale; le attrezzature e i docenti sono pagati da Apple, che qui investe ogni anno 5 milioni di euro; la Regione sostiene gli studenti con borse di studio da 7.800 euro all’anno che servono alle spese di vitto, alloggio e trasporti. Il secondo è un metodo didattico improntato a un criterio guida semplice, quello di creare una soluzione digitale concreta a un bisogno reale delle persone. Si può riassumere così: se c’è un problema c’è di sicuro una app per risolverlo, e se sei bravo la inventi. È un approccio pragmatico che ribalta quello accademico classico, visto che spesso nelle università italiane si parte dalla teoria e non dalla pratica.

A questo punto occorre chiedersi se la Apple Academy abbia favorito la nascita di nuove imprese sul territorio o abbia generato nuova occupazione in quelle già presenti. È un punto chiave per questo territorio perché, come spiega Francesco Izzo, che insegna Economia e gestione delle imprese alla Federico II, «Napoli ha da sempre fatto i conti con un anello mancante: il passaggio dalla sua eccellente ricerca di base alla ricerca applicata e poi alle aziende. Questo “trasferimento” è stato storicamente rallentato da troppi ostacoli. Il principale è la ridotta dimensione delle nostre aziende, cosa che rende più difficile intraprendere percorsi di innovazione».

Di recente però molte grandi aziende del settore digitale hanno deciso di investire su Napoli, aprendo uffici o filiali operative sia per l’abbondanza di capitale umano sia per la posizione strategica della città rispetto ai mercati del Sud Italia. Sono multinazionali della consulenza informatica – come Accenture, Engineering, Capgemini, DXC e Almaviva – ma anche imprese di software e cloud come IBM o di telefonia come TIM, che qui ha un laboratorio di ricerca sul 5G.

A queste presenze si è affiancato un numero crescente di società emergenti fondate da ricercatori locali o nate da spin-off universitari. È il caso di MegaRide, che usa il digitale per favorire una mobilità ecosostenibile; Logogramma, specializzata in intelligenza artificiale; Bhblasted, che sviluppa progetti di marketing digitale; Techvisory, focalizzata sulla gestione e analisi dei dati. Sono realtà con sede o radici in Campania e sono in crescita. Spiega Luca Bianchi, direttore della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), l’istituto che fa ricerca sull’economia meridionale: «Grazie all’incrocio tra grandi aziende e università a Napoli e dintorni si sta formando o rafforzando un nuovo tessuto di imprese locali del settore tecnologico, che è la premessa di un nuovo sviluppo industriale per la città».

A Napoli, Apple ha avuto un po’ quel ruolo che gli studiosi dei distretti industriali attribuiscono alla “impresa motrice”, cioè l’azienda dotata di maggiori risorse e capacità che favorisce la nascita o la crescita di altre aziende dello stesso settore. In questo caso il traino di Apple ha sicuramente portato alla nascita di altre Academy: a San Giovanni a Teduccio, infatti, ne sono nate una quindicina, avviate in collaborazione con l’università Federico II da grandi gruppi digitali, che formano e selezionano così nuove persone da inserire in azienda.

La Hackademy, per esempio, è frutto di una collaborazione tra la Federico II e Accenture, su temi avanzati di sicurezza informatica. Cisco Academy forma a Napoli i suoi esperti in infrastrutture di rete. Digita è nata in collaborazione con Deloitte Digital per colmare il fabbisogno delle aziende in tema di comunicazione, marketing digitale e programmazione. La CoreAcademy è una iniziativa di KPMG, DXC Technology ed Exprivia per creare figure specializzate nella trasformazione digitale dei servizi pubblici. Negli spazi che un tempo ospitavano la Manifattura Tabacchi di San Giovanni, storica fabbrica del quartiere dismessa da tempo, è anche nata l’Agritech Academy, promossa con il Centro Nazionale per le Tecnologie dell’Agricoltura: forma tecnici specializzati per comprendere, governare e agevolare la trasformazione tecnologica e digitale del settore agricolo.

La questione sarà verificare nei prossimi anni quanti degli studenti che usciranno da queste accademie rimarranno a lavorare qui o rafforzeranno le imprese che qui sono già nate. Per ora sono ancora pochi.



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