Il IV Blue Forum Summit Nazionale sull’Economia del Mare segna un cambiamento di approccio in Italia. Il mare al centro delle strategie industriali e sociali. La necessità di un coordinamento e investimenti significativi per un futuro sostenibile, riconoscendo l’importanza economica del settore.
Per decenni, in Italia, il mare è stato materia da cartoline o poco più. Una metafora turistica, un panorama pittoresco da vendere all’estero, un “fondale” su cui poggiavano narrazioni politiche più orientate all’entroterra. Il IV Summit Nazionale sull’Economia del Mare – Blue Forum che siè appena concluso a Roma ha cambiato il lessico. Ma soprattutto ha cambiata la mappa.
Nel palazzo di Unioncamere si è tracciata la nuova rotta dell’Italia blu: quella che non si limita più a parlare di mare ma finalmente lo mette al centro della sua strategia industriale, sociale e ambientale. Sono stati tre giorni di confronti, dati, analisi. Ma, soprattutto, un messaggio chiaro: non c’è più alternativa al mare. È lì che si gioca una fetta decisiva del futuro del Paese.
Dall’ipocrisia alla visione
Giovanni Acampora, padrone di casa in quanto presidente di Assonautica Italiana e della Camera di Commercio Frosinone-Latina, ha tolto ogni alibi: “Il tempo delle riflessioni è finito. Ora è il momento delle scelte”. Parole nette, che segnano un punto di non ritorno. E che rompono con una lunga stagione di ipocrisie in cui l’economia del mare veniva evocata nei convegni ma ignorata nei bilanci pubblici.
Eppure, il settore è già colossale: 232.841 imprese, oltre un milione di occupati e un valore aggiunto che sfiora l’11,3% del PIL nazionale, come illustrato dal XIII Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare, a cura di Ossermare e Unioncamere. Non una promessa ma una realtà. (Leggi qui: L’Italia si fa ricca sul mare: eppure non se ne accorge).
Il Mediterraneo come Silicon Valley
A far discutere al Blue Forum non sono stati solo i numeri, ma la visione. Non c’è più spazio per pensare al mare come a una fascia costiera da sfruttare o proteggere a giorni alterni. Il mare è sistema, è industria, è infrastruttura, è lavoro. È, come ha ricordato Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, “un asset strategico al pari della space economy”.
Già, perché il Mediterraneo è oggi ciò che la Silicon Valley è stata per la rivoluzione tecnologica: un ambiente iperconnesso, ad altissima densità di traffico (commerciale, energetico, digitale), fragile e centrale al tempo stesso. Lì si incrociano le nuove rotte globali, i cavi sottomarini, i nodi logistici, le filiere turistiche e la transizione energetica. E lì, finalmente, si è deciso di investire.
L’Italia smette di affacciarsi al mare. Ci entra
Nel Summit si è respirato, per una volta, il profumo del coordinamento. Andrea Prete (Unioncamere) ha parlato di “governance chiara e strumenti coerenti”. Maria Elisabetta Alberti Casellati ha evocato la forza simbolica e concreta del “marchio Italia” in mare. E Roberta Metsola, Presidente del Parlamento europeo, in un messaggio da remoto ha rilanciato: “L’Italia è oggi la terza economia blu d’Europa. Traduciamo questa posizione in leadership effettiva”.
È stato detto tutto questo davanti a un pubblico che non era fatto solo di tecnici e ministri ma di imprese, giovani, rappresentanti dei territori, dai 400 km costieri del Lazio, come ha ricordato Roberta Angelilli, alle regioni del Mezzogiorno, dove l’economia del mare è già motore di inclusione e crescita.
Valore, identità, lavoro
A colpire, nei panel, è stato anche il ritorno di parole che sembravano smarrite: valore, identità, comunità, futuro. Biagio Mazzotta, presidente di Fincantieri, ha raccontato come la manifattura navale possa essere avanguardia tecnologica e dignità del lavoro, a patto di investire nella formazione. Il progetto “Maestri del Mare” è un esempio concreto: giovani che imparano mestieri reali, non appesi all’alternanza scuola-lavagna.
Ma c’è anche un’inversione di tendenza. Quella spiegata dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: “Per anni l’Unione Europea ha sacrificato molto la produzione di pesca”. Il che ha portato alla desertificazione delle nostre marinerie arrivando a cifre di -40%-50% con porti che hanno perso la vocazione alla pesca. La conseguenza è stato un danno economico ma anche ambientale. “Nell’ultima trattativa di dicembre scorso – ha ribadito il ministro Lollobrigida – per la prima volta abbiamo fermato la scellerata scelta di ridurre lo sforzo di pesca che aveva l’unico effetto di diminuire le nostre imbarcazioni, la vocazione dei nostri pescatori“.
Ma c’è anche una questione di infrastrutture come ha evidenziato Edoardo Rixi, vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti: “è fondamentale nel momento in cui è tornato al centro del mondo la dimensione della logistica, soprattutto quella del mare”. Le merci viaggiano tramite le vie d’acqua e per anni questo è stato sottovalutato arrivando a periodi di vero e proprio immobilismo. Per Rixi “abbiamo bisogno di cambiare passo e rivedere il sistema, autostradale, della rete ferroviaria, ma anche prevedere cambi tecnologici nel settore marittimo navale”.
Il baricentro nei fondali
Ermete Realacci ha aggiunto il peso della cultura ambientale e della coesione sociale, senza le quali ogni progetto industriale diventa solo un’illusione. E l’europarlamentare di Fondi Salvatore De Meo, ha spostato il baricentro strategico ancora più in là, fino ai fondali: la sicurezza dei cavi sottomarini, la protezione delle rotte digitali, la necessità di una difesa comune europea che parta proprio dai mari.
Il mare è tornato, anche, a parlare di sé in termini spirituali, culturali, esistenziali. A ricordarlo è stato Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede: il mare unisce, media, restituisce senso. E proprio nell’anno del Giubileo, questo legame fra profondità simbolica e concretezza economica diventa leva di sviluppo per un turismo più maturo, più consapevole, meno predatorio.
Proprio su questi temi il Ministero del Turismo ha lanciato un progetto per la digitalizzazione dei porti turistici italiani, evidenziando il fondamentale supporto delle associazioni di settore tra cui spicca Assonautica, che riveste un ruolo cardine nella promozione del turismo nautico attraverso il progetto “L’Italia vista dal mare – Scopri dove ti porto”.
Le istituzioni, finalmente al timone
A chiudere, l’ultimo tabù infranto: la politica sembra, per una volta, non più distratta. Il Ministero per il Mare, voluto dal Governo Meloni, ha smesso di essere un titolo evocativo. Lo ha detto con fermezza Nello Musumeci, e lo ha confermato Claudio Durigon, spiegando che il governo è pronto a “scrivere regole nuove” ed a dialogare seriamente con le imprese del settore.
Il punto centrato da Fabio Rampelli è che il mare deve entrare nelle scuole. Perché senza conoscenza e formazione, il rischio è che l’Italia perda il treno blu proprio ora che ha costruito la stazione.
Il IV Blue Forum è stato, a suo modo, uno spartiacque. Non solo un convegno, ma una chiamata alla coerenza, alle scelte. Il mare, oggi, non è solo una risorsa da difendere o sfruttare: è il contesto in cui l’Italia deve misurare la propria statura di Paese industriale, europeo, moderno. Il Mediterraneo chiede visione, pragmatismo e coraggio. Proprio come il mare, che divide e unisce. E che, quando lo si prende sul serio, non accetta compromessi.
Navigare è necessario. Restare fermi, stavolta, sarebbe un naufragio.
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