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Manager e startupper, vi racconto perché dovete andare a lezione di geopolitica


Le relazioni internazionali diventano sempre più complesse e agli imprenditori è perciò richiesto di percepire e interpretare segnali estranei al contesto delle loro imprese, della loro formazione e ai sensi che di norma si esercitano a mantenere allenati. Va in loro soccorso il libro “Geopolitica per le imprese”, edito da Egea, di Marco Valigi, politologo, insegnante all’ESCP Business School e all’Università Cattolica del Sacro Cuore e collaboratore dell’ISPI. Un estratto per la rubrica Futuro da sfogliare

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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro Geopolitica per le imprese di Marco Valigi, edito da Egea.

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Sostenere che l’analisi geopolitica rappresenti un asset per le imprese medie e piccole è un’affermazione controintuitiva. Come prima reazione, è naturale avere un moto di scetticismo. La geopolitica, per la sua impostazione analitica, potrebbe sembrare un metodo più idoneo a organizzazioni complesse e articolate, con bilanci in grado di assorbire senza difficoltà una funzione non direttamente legata alla produzione. Eppure, a uno sguardo appena più attento, reputo che il lettore non faticherà ad accogliere una chiave interpretativa differente.

Torniamo al tema delle dimensioni. Affermare che un’impresa ampia potrebbe accogliere più facilmente una funzione geopolitica, in generale, è corretto. In una struttura di per sé già complessa e con bilanci imponenti, i costi e l’impatto di un’eventuale aggiunta, per così dire, risulteranno proporzionalmente lievi rispetto al caso di un’impresa meno articolata. Difficilmente nel caso di una struttura ampia, mancherà budget da allocare su una figura di consigliere geopolitico – come ha illustrato Stefano Malferrari nel caso del ricorso ai consigli di Edward Luttwak. Inoltre, come ha rammentato Alessia Canfarini, in contesti decisionali diffusi, è il conformismo che tende a prevalere, non l’innovazione radicale. L’introduzione della geopolitica potrà modificare parzialmente i processi decisionali e i loro esiti rispetto al loro corso normale. Altrettanto improbabile, quindi, sarà l’eventualità che tali analisi mettano a repentaglio la sopravvivenza dell’impresa stessa, poiché non si tratterà di stravolgimenti ma al massimo di aggiustamenti.

Se, come abbiamo affermato, nel caso di una multinazionale le aleatorietà collegate alla creazione di una funzione geopolitica paiono minime, anche l’impatto che quel ruolo avrà rispetto alla pianificazione strategica e all’analisi del rischio tenderà a risultare complementare. A fronte di una maggiore sostenibilità economica e strategica, il valore marginale a esso collegato tenderà a decrescere in aziende di grandi dimensioni. In realtà più circoscritte, invece, se la strategia si legherà alla geopolitica gli effetti saranno assai più profondi e tangibili.

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Nel caso delle grandi aziende, l’impatto più circoscritto dell’analisi geopolitica non dipende dalla funzione aziendale che vi si associa, quanto da un esito collegato alle caratteristiche della struttura aziendale e alla sua estensione. Nella diffusione dell’azionariato come della governance, infatti, le aziende di grandi dimensioni individuano un importante – se non il principale – meccanismo di mitigazione del rischio. Detto altrimenti, in casi simili, tutte le funzioni collegate alla strategia tendono a essere rilevanti – si tratta di un effetto aggregato. Singolarmente presa, tuttavia, nessuna di loro sarà determinante.

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La domanda da porsi dinnanzi a questo tipo di attori, dunque, non è quale peso possa avere la geopolitica rispetto alla pianificazione strategica – quello varierà da un’impresa all’altra –, ma piuttosto perché in aziende in cui non si rinuncia a una fornitura di cancelleria o a gadget personalizzati che probabilmente finiranno nei cestini, invece, alle volte manchi quella funzione. A maggior ragione, quando in un mondo complesso e politicamente schizofrenico la scelta di attrezzarsi in tal senso dovrebbe essere intuitiva.

Si potrà chiamare in causa la cultura manageriale, una limitata consapevolezza rispetto all’uso di uno strumento che, nella peggiore delle ipotesi, migliorerà comunque la comprensione del contesto esterno da parte dei decisori, oppure di un’allocazione di risorse che definisca come altre le proprie priorità. Nessuna di queste risposte, pur logiche, sarà tuttavia in grado di fornire una valida motivazione per la quale oggi un’azienda di grandi dimensioni dovrebbe rinunciare all’analisi geopolitica. Eppure, si tratta di una situazione più frequente di quanto ci si possa immaginare. Strutture grandi e complesse hanno una capacità di assorbimento maggiore di quelle più piccole, tendono a muoversi molto più per inerzia e, fino a una certa soglia, a scaricare sull’organizzazione stessa gli effetti di eventuali inefficienze le quali, appunto, in termini relativi peseranno meno sulla performance complessiva.

Marco Valigi
Marco Valigi

Veniamo ora al caso delle imprese medie e piccole, però. Per questi attori attivare o meno una funzione geopolitica costituisce una decisione più impattante – in primo luogo in materia di struttura organizzativa e in termini di processo decisionale; in secondo, sul versante dei costi, soprattutto perché la questione tende a porsi in termini più di costi-opportunità. Dal punto di vista dell’organizzazione, una realtà aziendale di entità medio-piccola è maggiormente toccata rispetto a una grande da un eventuale mutamento di struttura. Quando gli elementi costituivi sono limitati e le geometrie semplici, infatti, anche una singola aggiunta darà origine a fenomeni e dinamiche tali da alterare gli equilibri esistenti.

Una considerazione analoga, del resto, varrà per i processi decisionali. Aggiungendo una funzione geopolitica, infatti, questi ultimi si arricchiranno di dati e ipotesi i quali, se ben gestiti, ne amplieranno le prospettive e incrementeranno l’efficacia; di contro, se trattati maldestramente, avranno effetti strategici negativi più evidenti in confronto al caso di una multinazionale. Rispetto a successi, fallimenti ed eventuali responsabilità, infatti, le scappatoie sono limitate. Quanto descritto non dipende dalla natura della geopolitica – è chiaro – ma dal fatto che il peso relativo di un intervento sulla struttura e sui ruoli, così come l’introduzione in azienda di metodologie differenti è maggiore in contesti come le aziende di tipo imprenditoriale o familiare.

Un capitolo a parte, infine, è quello dei costi. Talora accade che le PMI abbiano bilanci claudicanti o che facciano fatica a mantenere il rigore finanziario, pur possedendo un buon prodotto e riscontri commerciali positivi. Ragionare sull’introduzione della funzione geopolitica in casi simili e sul suo possibile impatto, evidentemente, non ha senso. Prima di lanciarsi in speculazioni sul rapporto tra impresa e ambiente internazionale, infatti, andranno consolidati i cosiddetti fondamentali, come si dice nel basket. Questi casi, pur frequenti, non hanno del resto a che fare con il nostro ragionamento, poiché il tema centrale non è l’impatto della cultura geopolitica, quanto quello di una inadeguata cultura finanziaria. Nel caso di imprese strutturate, di contro, tale decisione assume i caratteri di una valutazione di costo-opportunità. In confronto a una multinazionale, per un’azienda medio-piccola il costo-opportunità collegato al recepimento della geopolitica come strumento di business è crescente, infatti. In presenza di bilanci solidi – ma incomparabilmente più contenuti rispetto a quelli di un grande gruppo – e in strutture organizzative parsimoniose, investire delle risorse su una funzione geopolitica potrà effettivamente significare sottrarle ad altri tipi di investimento, magari direttamente impattanti sul prodotto o sui processi. In tal senso, diversamente dal caso delle imprese di grandi dimensioni, la decisione di dotarsi di una funzione geopolitica assume in questi casi il carattere di una scelta strategica.





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