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Reindustrializzare per non sparire, la sfida di Orlando e Schlein: “Un piano per l’Italia contro il declino”


Un’offensiva politica e programmatica per scuotere l’Italia dal declino manifatturiero. Dal palco dell’evento del Partito Democratico “Le rotte del futuro, re-industrializzare l’Italia e l’Europa” Andrea Orlando, già ministro del Lavoro e della Giustizia e oggi responsabile del Forum Industria Pd, e la segretaria Elly Schlein lanciano muovono dall’analisi delle fragilità nazionali e dalla critica all’inerzia dell’esecutivo per prooprre una piattaforma di contenuti in grado di invertire una rotta che sta portando alla deindustrializzazione e rivendicare, come afferma Orlando, “l’ambizione di una reindustrializzazione dell’Italia e dell’Europa, perché un paese che perde la propria industria perde anche una parte rilevante della propria industriosità, del proprio saper fare”.

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Una battaglia da combattere su un doppio fronte: un piano nazionale per le filiere strategiche e una nuova postura in Europa, per governare le transizioni e non subirle.

L’ambizione di una reindustrializzazione per l’Italia e l’Europa

Il punto di partenza è un bollettino di guerra: la produzione industriale in caduta costante, con settori simbolo come l’automotive e la moda in affanno. La domanda posta da Andrea Orlando è retorica: i fondamentali dell’industria italiana sono adeguati ad affrontare le tempeste globali? La risposta è un secco no.

La proposta è quindi quella di una rottura, di una nuova visione. Per il PD una base industriale solida è la precondizione per la qualità del lavoro, la coesione sociale e la stessa sovranità economica. Non è solo una questione di PIL, ma di identità. Si tratta di decidere cosa, come e per chi produrre, rimettendo il lavoro al centro del patto democratico.

Le fragilità del sistema Italia e l’attacco al governo

L’analisi del PD mette a nudo le debolezze croniche del sistema Italia: la bolletta energetica più salata d’Europa, una crisi demografica esasperata da salari al palo che spingono i giovani qualificati a emigrare, e un’innovazione eccellente che non riesce a permeare un tessuto produttivo polverizzato.

Su questo terreno, fertile solo per il declino, si innesta l’attacco all’azione del governo Meloni, accusato di inerzia e di ricorrere a “scorciatoie elettoralistiche”. Orlando non usa mezzi termini ed elenca i capi d’accusa: la fallimentare strategia su Stellantis, lo smantellamento della chimica di base da parte di Eni con il benestare di Palazzo Chigi, l’assenza di una visione per l’edilizia e la gestione opaca della crisi dell’ex Ilva. Un insieme di azioni che, secondo l’esponente dem, sta compromettendo gravemente lo “standing industriale” del Paese.

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La critica al piano Transizione 5.0

Un affondo specifico è riservato allo strumento Transizione 5.0. Per Orlando, il piano è un’arma spuntata, “progettato ignorando la realtà produttiva italiana”.

Nel suo intervento conclusivo, Schlein rincara la dose, definendolo un “flop” partorito dopo nove mesi di incertezza che hanno fermato gli investimenti. La misura, una volta arrivata, si è rivelata “talmente farraginosa, burocratica e complicata che le imprese non hanno richiesto gli incentivi”, con appena il 10% delle risorse spese. Una critica che evidenzia la distanza tra le enunciazioni del governo e le reali necessità di un tessuto produttivo che chiedeva continuità con il modello 4.0.

Un libro verde per un percorso condiviso

Il risultato concreto della due giorni di lavori è un “Libro Verde” per l’industria, presentato come il punto di partenza di un percorso aperto. Non un pacchetto di soluzioni calate dall’alto, ma, come sottolinea Schlein, una “base di partenza che continuerà a camminare”.

L’intenzione è quella di portare il documento in un tour di ascolto e confronto “filiera per filiera, territorio per territorio”, coinvolgendo stakeholder, parti sociali e altre forze politiche.

Il testo entra nel merito con proposte concrete emerse dall’ascolto delle imprese. La prima, e più urgente, riguarda il costo dell’energia: la richiesta è di “scollegare il prezzo dell’energia da quello del gas”, intervenendo sul meccanismo del prezzo unico nazionale che, secondo il PD, avvantaggia pochi grandi operatori energetici a scapito di tutte le altre imprese.

Un’altra direttrice fondamentale è la semplificazione, da attuare non con la deregulation ma attraverso “un grande investimento sulla digitalizzazione e sulle competenze digitali”, un campo dove l’Italia sconta un grave ritardo rispetto alla media europea.

Sul fronte degli investimenti, il Libro Verde propone crediti d’imposta specifici per sostenere l’acquisto di macchinari tecnologici abbinato alla formazione dei lavoratori, ricalcando il modello di Industria 4.0.

Da ultimo si affronta il nodo dell’accesso al credito, con l’idea di un fondo per la transizione che possa ingaggiare il risparmio italiano e gli istituti finanziari per sostenere l’innovazione delle imprese nazionali.

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Rendere la transizione ecologica socialmente desiderabile

La chiave di volta della proposta, sottolinea Schlein, è rendere la transizione ecologica “socialmente desiderabile”. Bisogna smontare la narrazione che la vede solo come un costo, perché, avverte, “sono più alti i costi della non transizione”, come dimostrano gli imprenditori e gli agricoltori che ancora attendono i ristori dopo le alluvioni.

La via è quella di politiche industriali che accompagnino imprese e famiglie, con investimenti e fondi specifici, come quelli richiesti per l’automotive, per la casa e per la riqualificazione dei lavoratori sul modello dello strumento SURE. L’esempio concreto è l’efficientamento energetico: “dobbiamo spiegarla alle persone dicendo che il giorno dopo avranno per sempre la metà della bolletta che pagano oggi”. È così, conclude la segretaria, “che rendi attrattiva e conveniente la transizione ecologica”.

La sfida è duplice: piano nazionale e battaglia culturale in Europa

La strategia dem si muove quindi su due livelli. A livello nazionale bisogna sfidare il governo con un piano industriale concreto.

A livello europeo occorre battersi per una politica industriale comune e per fondi adeguati, sul modello dello strumento SURE.

Orlando accusa invece l’esecutivo di un approccio subalterno, che “mendica proroghe all’Europa anziché esigere risorse”. Eppure, è proprio l’Italia, come grande paese manifatturiero, ad avere il massimo interesse in una mutualizzazione dei costi della transizione. La conclusione di Orlando è un monito per tutta la sinistra: “Se non rappresenti qualcosa nel processo produttivo rischi di non rappresentare nulla in quello politico”. Una lezione da imparare in fretta per non essere espulsi dalla Storia.



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