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«Non ci arrendiamo, è in arrivo una nuova gara. Senza la nuova Aia l’acciaieria chiude»


«Occorre decidere subito, noi sull’Ilva non ci arrendiamo». E non a caso Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, parla di «settimana decisiva» per il salvataggio di quella che fu fino a qualche anno fa la prima acciaieria in Europa. Oggi il governo vedrà i sindacati, domani si attende la risposta dagli enti locali pugliesi sulla possibilità di ospitare a Taranto una nave rigassificatrice, giovedì è in programma al ministero dell’Ambiente la conferenza dei servizi per chiudere un accordo di programma con le amministrazioni territoriali per avere l’assenso alla nuova Aia (autorizzazione integrata ambientale).

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Senza, «visto che incombe sullo stabilimento il giudizio del Tribunale di Milano, questa sentenza potrebbe disporre lo stop all’attività produttiva, alla luce delle indicazioni date dalla Corte di Giustizia europea».

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In questo cronoprogramma va inserito anche il lancio di una nuova gara per gli asset ex Ilva?
«Dovremo adeguare subito la gara in corso alle nuove condizioni, già a fine luglio. Per questo è assolutamente necessario che tutto sia chiaro nei prossimi giorni. È ovvio che avere a Taranto anche gli impianti per la produzione di ferro preridotto (Dri) sia un elemento di forte attrattività per gli investitori. Ma vorrei ricordare un aspetto».

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Quale?
«L’importante è che si capisca chiaramente che qualunque sia il capitale o la nazionalità dell’azienda, senza Aia lo stabilimento è destinato alla chiusura».

Per evitarlo avete messo in campo un piano con due ipotesi.
«Abbiamo presentato alla Regione Puglia e agli enti locali un piano industriale che prevede la piena decarbonizzazione dello stabilimento in appena otto anni, con la realizzazione di tre forni elettrici che progressivamente sostituiranno gli altiforni, in piena continuità produttiva e occupazionale. I forni elettrici dovranno essere alimentati dal Dri, che potranno essere realizzati accanto da “Dri d’Italia”, società pubblica partecipata al 100% da Invitalia, insieme agli impianti di cattura della CO2. Per alimentare i Dri sarà necessaria la nave rigassificatrice, come a Piombino».

E senza la nave?
«Non vi è acciaio green. In questo caso realizzeremo a Taranto solo i tre forni elettrici che sostituiranno gradualmente gli altiforni, in piena continuità operativa, ma il polo Italiano del Dri sarà realizzato in un’altra località che assicurerà l’approvvigionamento di gas. Ho sempre detto che la prima scelta spetta a Taranto, per motivi morali, storici, economici e sociali. Se Taranto rinuncerà alla nave rigassificatrice, sarà necessario spostare il preridotto altrove. Ma questo renderà meno sostenibile l’intero stabilimento, per i maggiori costi operativi che ne deriveranno. Per non parlare del maggiore impatto ambientale legato al trasporto marittimo. Anche questo dovrebbe far riflettere chi ha a cuore l’ambiente».

Qual è l’alternativa per il preridotto?
«Stiamo valutando diverse opzioni, tra le quali Gioia Tauro. Comunque dovrà sempre essere al Sud, perché le risorse necessarie provengono dal Fondo di Coesione Nazionale. Prevediamo che altre ne saranno destinate nella prossima programmazione, per completare il progetto».

Quanti saranno gli impianti di Dri?
«Quattro, uno dei quali dovrà rifornire di preridotto il forno elettrico che sarà realizzato a Genova per produrre quanto necessario agli impianti del Nord. In questo modo avremo una produzione annuale di acciaio a regime di otto milioni di tonnellate, interamente green: l’ex Ilva diventerà il gruppo siderurgico più avanzato al mondo per la produzione di acciaio green».

Oggi ai sindacati comunicherete il numero degli esuberi?
«Le due ipotesi hanno impatti occupazionali molto diversi: nel primo caso sarà possibile garantire centinaia di posti di lavoro in più, sia nella fase di transizione – mi riferisco ai lavori necessari per realizzare i quattro Dri e i raccordi per la nave rigassificatrice – sia a regime, con altri occupati in più anche per quanto riguarda l’indotto e la logistica portuale».

E senza la nave?
«Senza la nave, ripeto non ci sarà nemmeno il Dri. E in questo scenario dico solo che dovremo lavorare da subito con adeguati ammortizzatori sociali, nazionali e locali».

Resta da trovare un compratore per l’ex Ilva.
«È in corso una gara internazionale secondo le regole europee. Qualunque sia il capitale dell’azienda, pubblico o privato, italiano o straniero, lo stabilimento dovrà rispondere alle stesse regole ambientali e sanitarie. Senza Aia nessuno è abilitato a produrre. Al momento il negoziato sta procedendo in via preferenziale con Baku Steel. È verosimile che alla luce della programmata decarbonizzazione si manifestino ulteriori partner internazionali».

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Intanto continuate a lavorare al Piano nazionale per la siderurgia.
«A Piombino e Terni abbiamo già sottoscritto gli accordi di programma con aziende, Regioni ed Enti locali: in entrambi i siti sarà garantita la piena occupazione, dopo anni di cassa integrazione, con investimenti importanti per la produzione di acciaio green. Se riusciremo a fare lo stesso a Taranto, l’Italia diventerà un modello di transizione ambientale per l’Europa, l’unico a raggiungere appieno gli obiettivi di sostenibilità, coniugando ambiente e lavoro e garantendo, al contempo, la fornitura siderurgica all’industria nazionale. Spero che sia possibile presentare il Piano nella prima settimana di agosto».

La battaglia sul futuro della siderurgia è anche europea.
«Stiamo procedendo alla revisione delle regole Ue. L’altro giorno abbiamo riunito undici Paesi che hanno aderito all’alleanza per le industrie energivore e lunedì 21 mi recherò a Berlino e il 24 a Parigi per definire posizioni comuni con Francia e Germania. L’Italia guida il fronte delle riforme anche per la competitività dell’industria europea, come dimostrano i nostri “non paper” su Cibam e siderurgia. Sono convinto che prevarrà la ragione».

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