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l’evoluzione dell’AI nei processi aziendali – CMI Magazine


Negli ultimi mesi, l’Intelligenza Artificiale (IA) è passata da oggetto di sperimentazione a leva di ripensamento strategico. I report 2025 di Aspen Institute e Boston Consulting Group,

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L’Intelligenza Artificiale (IA) è ormai entrata a pieno titolo nell’agenda strategica delle imprese. Non è più una novità da sperimentare nei laboratori di innovazione, ma un vero e proprio motore di trasformazione che coinvolge modelli di business, processi operativi, ruoli organizzativi e relazioni con il cliente. Dai più recenti studi condotti da Aspen Institute e Boston Consulting Group, ma anche dai recenti Minsait, ServiceNow, Equinix, Sas e Axiante, emerge con chiarezza che l’AI sta diventando il cuore di una trasformazione strutturale nei processi aziendali, a partire dalla relazione con il cliente, oltre che un elemento determinante per la competitività economica e l’equilibrio geopolitico.

Contesto globale e strategie divergenti

Secondo il “Rapporto Intelligenza Artificiale 2025” dell’Aspen Institute, Stati Uniti, Cina ed Europa stanno adottando strategie profondamente diverse nell’approccio all’AI. Gli Stati Uniti si muovono rapidamente attraverso alleanze tra grandi aziende e consorzi privati, come nel caso del progetto Stargate da 500 miliardi di dollari. La Cina, al contrario, adotta un modello fortemente centralizzato, orientato all’autosufficienza tecnologica e al primato globale entro il 2030. L’Europa si distingue per la volontà di costruire una “terza via”, fondata su regolazione, sostenibilità e diritti fondamentali, affiancando iniziative legislative come l’AI Act a programmi di investimento industriale come InvestAI.

Queste traiettorie divergenti si riflettono anche nelle imprese europee e italiane, dove l’adozione dell’AI appare ancora frammentata e non pienamente sistemica. L’analisi di Minsait in collaborazione con The European House – Ambrosetti rivela che il 63% delle grandi imprese italiane ha avviato progetti di AI, ma solo il 21% è riuscito a scalarli su larga scala. Inoltre, oltre il 70% delle aziende non possiede ancora una strategia definita, e il 38% investe meno di 50.000 euro all’anno. Questo conferma che, nella maggior parte dei casi, l’AI viene ancora trattata come un esercizio tattico e non come una leva trasformativa.

Reinventare i processi con l’AI: oltre l’automazione

Il report di Boston Consulting GroupAI-First Companies Win the Future” sottolinea che le aziende più avanzate non si limitano a introdurre l’AI per automatizzare task esistenti, ma ripensano radicalmente i propri modelli organizzativi e il proprio approccio alla creazione di valore. L’AI diventa così il fulcro di nuove architetture decisionali, nuove modalità operative, nuovi ruoli aziendali. Le aziende AI-first ridisegnano il P&L, abilitano workforce ibride uomo-macchina e sviluppano customer journey predittivi, iper-personalizzati e guidati dai dati.

Questo cambio di paradigma è reso possibile da una nuova generazione di sistemi: AI generativa, AI agentica, modelli multimodali, AI edge e Small Language Models. Secondo Aspen Institute, i Large Action Models (LAM) consentiranno presto di passare dalla generazione di contenuti all’esecuzione autonoma di attività complesse, rendendo possibile l’iperautomazione di processi critici.

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Le condizioni abilitanti: infrastruttura, governance e visione

L’adozione efficace dell’AI richiede una base solida di prerequisiti tecnologici e culturali. Axiante sottolinea che l’errore più comune è considerare l’AI come uno strumento plug-and-play. L’AI non si installa: si integra, si allena, si governa. Richiede dati di qualità, obiettivi misurabili, infrastrutture scalabili e processi di monitoraggio continuo. Equinix propone l’adozione di architetture ibride e multicloud vendor-neutral, in grado di garantire interoperabilità e adattabilità nel tempo.

La vera trasformazione, sottolinea Minsait, avviene quando si smette di adattare l’AI a processi obsoleti e si comincia a ridisegnare i processi stessi in funzione delle nuove capacità offerte. È qui che si crea un vantaggio competitivo duraturo, in grado di democratizzare l’innovazione e abilitare anche le PMI a competere con player più strutturati.

Il servizio clienti come laboratorio di adozione

Tra i settori dove l’AI ha già prodotto risultati concreti, il customer service si conferma un banco di prova privilegiato. Secondo il questionario dell’Aspen Institute, il 66,7% delle aziende italiane dichiara di utilizzare l’AI nel servizio clienti. Chatbot, GenAI e assistenti virtuali sono sempre più diffusi per gestire richieste, suggerire risposte agli operatori, analizzare dati conversazionali e velocizzare la risoluzione. ServiceNow riporta che l’automazione intelligente nei contact center ha portato a un aumento medio del 38% nella produttività degli agenti. In ambito telco, un caso documentato mostra un incremento del 25% grazie all’adozione di suggerimenti generati in tempo reale da sistemi di GenAI. Ma il vero potenziale sta nell’andare oltre il supporto reattivo, integrando l’AI nella prevendita, nella fidelizzazione e nella personalizzazione proattiva del servizio.

Fiducia, trasparenza e regolazione

La costruzione della fiducia è oggi uno dei temi più critici. Cathy Mauzaize (ServiceNow) ricorda che “la fiducia non nasce spontaneamente”. L’AI deve essere spiegabile, trasparente, ‘auditabile’. Deve evitare bias, discriminazioni e utilizzi impropri. Il 78% delle aziende italiane intervistate da Aspen indica la formazione come elemento chiave per garantire un uso etico dell’AI. L’AI Act europeo rappresenta un passo fondamentale in questa direzione, imponendo obblighi su trasparenza, sorveglianza umana e accountability. Ma è solo l’inizio. La governance dell’AI deve coinvolgere l’intera organizzazione, dalla C-suite ai team operativi, e integrarsi con i sistemi di controllo, di compliance e di gestione del rischio.

Capitale umano, competenze e collaborazione uomo-macchina

L’AI non elimina il lavoro umano, ma lo trasforma. Il World Economic Forum stima che il 44% delle competenze richieste nel mondo del lavoro cambierà entro il 2028. Il report BCG mostra che le aziende AI-first hanno team più snelli ma più competenti, dove le persone lavorano fianco a fianco con agenti AI. Per affrontare questa transizione servono investimenti in formazione, programmi di upskilling e una cultura aziendale che valorizzi la collaborazione tra uomo e macchina. Paesi come Singapore e Finlandia rappresentano esempi virtuosi di ecosistemi formativi orientati al lifelong learning. In Italia, invece, meno del 50% della popolazione adulta possiede competenze digitali di base.

Cinque azioni per iniziare subito: il framework BCG

Per chi guida la relazione con il cliente, il marketing o i servizi, BCG propone un modello operativo in cinque azioni:

  • Definire una AI agenda guidata dal business, con obiettivi concreti e ownership distribuita.
  • Integrare l’AI nella pratica quotidiana, promuovendo l’esempio e la sperimentazione diffusa.
  • Anticipare l’impatto sui ruoli, con analisi delle competenze, piani di formazione e job redesign.
  • Mostrare risultati rapidi, iniziando da use case ad alto impatto e basso rischio.
  • Scalare in modo intelligente, allocando risorse dove l’AI dimostra di funzionare.

Dalla sperimentazione alla trasformazione

Come sintetizza Minsait, “non è il rischio a doverci spaventare, ma l’inerzia”. L’AI non è una bacchetta magica, ma una tecnologia abilitante che, se integrata con visione, etica e realismo, può diventare un moltiplicatore di valore. I leader della relazione con il cliente hanno l’opportunità di guidare questo cambiamento. Non si tratta più di decidere se adottare l’AI, ma di come farlo in modo strategico, trasparente e sostenibile. Le imprese che sapranno progettare il proprio futuro intorno all’AI non solo miglioreranno performance e competitività, ma contribuiranno a costruire un sistema più equo, efficiente e centrato sulle persone.





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