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‘Il BEREC boccia il DNA e l’Italia è in prima linea’


L’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) ha guidato una campagna di opposizione al Digital Networks Act che, in poche settimane, ha raccolto un’adesione straordinaria da parte di operatori, imprese e associazioni in tutta Europa. L’obiettivo: fermare una riforma che rischia di smantellare il modello di Internet aperta e pluralista costruito in trent’anni. La consultazione pubblica si è appena chiusa, ma il dibattito sul futuro della rete, e sulla nuova cornice regolatoria per le telecomunicazioni e i servizi digitali europei, è più vivo che mai. Cosa accadrà ora? Come cambierà la governance dell’accesso e dell’infrastruttura in Europa? Ne abbiamo parlato con Giovanni Zorzoni, già presidente di AIIP, che ha appena passato il testimone a Giuliano Peritore ma continua a seguire in prima linea questa cruciale battaglia.

Key4biz. Vicepresidente Zorzoni, negli ultimi mesi il Digital Networks Act ha sollevato numerose polemiche, soprattutto da parte degli operatori più piccoli e indipendenti. Perché AIIP considera il DNA una minaccia così grave per l’ecosistema digitale europeo?

Giovanni Zorzoni. Perché si tratta di un’operazione tecnocratica di vera e propria controriforma, mascherata, come sempre, sotto le vesti rassicuranti della “modernizzazione” e della “semplificazione” del contesto economico europeo. Il Digital Networks Act nasconde, in modo neanche troppo raffinato, una volontà politica di concentrazione oligopolistica: blindare il mercato intorno a tre o quattro grandi operatori pan-europei infrastrutturati benedetti da Bruxelles. Di questi, ovviamente nessuno sarà italiano, e tutti saranno controllati dai soliti fondi di investimento, che già oggi contano più di molti Stati. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.

Key4biz. Qual è lo scopo del DNA?

Giovanni Zorzoni. Il fine reale del DNA è quindi i ribaltare i principi dell’Internet europea che abbiamo costruito negli ultimi trent’anni: una rete pluralista, resiliente, fatta anche di piccoli e medi operatori territoriali, spesso leader in innovazione, che hanno potuto crescere grazie alla duplicazione infrastrutturale e alla possibilità di offrire alternative concrete sul territorio, evitando il lock-in dei clienti.

C’è un’ambiguità che va chiarita per capire bene l’evoluzione di questo provvedimento: nelle sue versioni iniziali, tra il 2022 e il 2023, il DNA era sostenuto anche da alcuni operatori ex monopolisti e da vari operatori mobili, perché conteneva principalmente l’agognata “tassa sul traffico”, che in Italia si è tentato di ribattezzare ipocritamente “fair share”.

Uscito di scena Breton, però, il DNA ha cambiato pelle: da tassa sugli OTT si è trasformato progressivamente in un manifesto ideologico per giustificare una serie di “riforme” sincronizzate – dalla revisione dell’EECC, appena conclusa, fino alla prossima attuazione del Gigabit Infrastructure Act (GIA) – con l’obiettivo finale di rimonopolizzare il mercato. Si vuole smantellare trent’anni di liberalizzazione fondata sulla regolazione asimmetrica, per consegnare il settore a un pugno di operatori in difficoltà, che verranno acquisiti a saldo dai grandi fondi di investimento. E una volta centralizzato tutto, i prezzi potranno essere triplicati in pochi anni per garantire il ritorno economico dell’operazione.

Il DNA attuale mira quindi a sostituire un modello competitivo con un’oligarchia autorizzata: se questo impianto passa, nel giro di pochi anni avremo tre o quattro operatori dominanti, tutti legati a doppio filo a fondi di investimento internazionali. A questi soggetti gli Stati dovranno rivolgersi, col cappello in mano, per chiedere una semplice intercettazione, un sistema anti-pirateria, o una prestazione obbligatoria per la sicurezza nazionale. E i cittadini, dopo aver subito rincari su tutto, automobili, energia, gas, beni primari, scopriranno anche le SIM a 50 euro al mese e la fibra a 60 euro, come negli Stati Uniti. Ecco perché il DNA va fermato ora, prima che sia troppo tardi.

Key4biz. C’è qualcosa nel DNA che in teoria può essere salvato?

Giovanni Zorzoni. Guardi, ogni tanto tra le pieghe di documenti di questo tipo ci si trova per forza qualche riga di buonsenso. C’è un tentativo molto vago sull’apertura delle (e)SIM IoT sempre più presenti nei dispositivi, come nelle auto, per metterle a mercato, ma è troppo debole. Ci deve essere sempre la possibilità per i clienti finali di avere dispositivi che possano funzionare completamente scollegati, nonché la possibilità di cambiare operatore senza che ci siano “bundle” o “autorizzazioni” specifiche. Un altro tema affrontato, ma probabilmente in modo capzioso, è la questione dell’apertura del mercato mobile: noi chiediamo da anni la possibilità di avere servizi regolati e anche di poter accendere reti federate (RAN, Radio Access Network) nelle case sparse, nei comuni più periferici, in pianura e in montagna. Anche qui, purtroppo, si intravede più un refuso utile a sostenere una futura rete unica 5G pan-europea gestita da grandi soggetti finanziari, piuttosto che una reale volontà di liberalizzazione.

Key4biz. Come ha reagito AIIP a questa proposta?

Giovanni Zorzoni. L’Associazione ha reagito in modo fulmineo: ci siamo messi subito in moto. Abbiamo studiato ogni documento, risposto a tutte le consultazioni, mobilitato i nostri soci, costruito una rete di alleanze in Italia e in Europa. In cinque settimane abbiamo fatto quello che molti non riescono a fare in un anno. Abbiamo scritto analisi, proposte alternative, memorie tecniche che abbiamo condiviso anche con i non associati, siano essi associazioni europee o operatori continentali. Abbiamo realizzato un sito tematico, StopDNA.eu, sempre aggiornato, per sensibilizzare tutti. Il risultato? La più grande mobilitazione negativa a una proposta della Commissione europea degli ultimi anni. E, lasciatemelo dire, l’Italia è stata il motore di questa mobilitazione. La nostra bozza è diventata la base delle risposte di decine di operatori. I nostri contenuti sono stati fatti propri da associazioni di tutta Europa e abbiamo dimostrato che non solo si può resistere, ma soprattutto che si può guidare.

Key4biz. Alcuni sostengono che servano grandi operatori per competere nel mondo globale. Che risposta date?

Giovanni Zorzoni. Che è una sciocchezza, serve ovviamente un mercato aperto dove possano coesistere realtà diverse: grandi, medie, piccole. Nel nostro settore, le economie di scala si sono spesso rivelate molto meno siginificative di quelle di densità e di prossimità. Chi vuole costruire i campioni europei può farlo, ma certo non facilitandogli l’acquisizione a saldo delle aziende che già ci sono. Nessun mercato è forte se è monolitico: l’innovazione, quella vera, nasce quasi sempre dai margini, dalle piccole imprese, da chi ha la libertà di sperimentare. Tutti i giganti del web sono nati così. Chi invoca i campioni europei spesso dimentica che in Europa ci sono centinaia di operatori che ogni giorno portano connettività, cloud, edge computing, software e sicurezza nei territori. Questo è un patrimonio industriale, non un problema. È un patrimonio di resilienza – vera, non a parole – che va non solo tutelato, ma sostenuto. Come? Facendo esattamente il contrario di quanto enuncia il DNA.

Key4biz. Sul vostro sito StopDNA.eu avete ribattezzato il DNA come “Digital Noose for All”, il cappio digitale per tutti. Perché?

Giovanni Zorzoni. Il DNA è il cappio digitale dell’Europa: non ci preoccupa solo l’enorme danno economico che porterebbe, ma il disegno di soffocamento e la regressione culturale che incarna. Con l’accentramento totale e la spogliazione delle aziende nazionali di telecomunicazioni, si perderebbe completamente il know-how tecnico e industriale che ci ha resi autonomi fino ad oggi.

E questo non riguarda solo le imprese, ma anche le Autorità di regolazione, che oggi, con grande competenza, adattano le norme europee alle specificità dei territori. Il modello che ci viene proposto negli ultimi anni è sempre lo stesso: impoverimento culturale, impoverimento delle competenze, desertificazione delle peculiarità nazionali.

Key4biz. Vedendo la risposta alla consultazione, pare che una tempesta si sia abbattuta contro la Commissione. Tutti sembrano bocciare il DNA senza appello.

Giovanni Zorzoni. Siamo davvero felici di aver dato un contributo fondamentale per sensibilizzare tutti. Molti erano rimasti all’idea che il DNA fosse soltanto una misura contro le grandi piattaforme americane, e non si erano accorti della completa riscrittura derivata da alcuni passaggi dei cosiddetti “report” Draghi e Letta. In attesa di leggere anche il contributo dell’AGCOM, è incoraggiante vedere che non solo tutti i colleghi, grandi e piccoli, hanno risposto al “Have your say” europeo, non solo sul DNA ma anche sulla consultazione parallela sull’EECC, ma anche che il BEREC si è espresso con una bocciatura durissima.

Key4biz. Vicepresidente, ci può riassumere in breve cosa dice il BEREC?

Giovanni Zorzoni. Il parere del BEREC è stato estremamente chiaro e diretto, tanto da risultare quasi inusuale nel linguaggio normalmente prudente delle autorità regolatorie europee: l’organismo che riunisce tutte le Autorità di regolazione delle comunicazioni elettroniche dell’Unione ha bocciato senza appello l’intero impianto concettuale del DNA. Ha evidenziato l’assenza di una base economica solida per introdurre nuove forme di contribuzione sul traffico, smontando l’idea stessa del fair-share come strumento di riequilibrio.

Ma non solo: il BEREC ha sottolineato che le proposte contenute nel DNA rischiano di danneggiare gravemente il modello di concorrenza che ha portato benefici agli utenti europei per due decenni. Ha ricordato che i problemi degli operatori di rete non si risolvono indebolendo le regole di concorrenza, ma affrontando il nodo della frammentazione normativa, della scarsa attrattività degli investimenti in alcune aree e dell’asimmetria fiscale e regolamentare rispetto agli OTT. Il BEREC ha perfino criticato l’approccio vago e confusionario dell’intero disegno, rilevando che mancano le metriche, le analisi di impatto, le definizioni chiare.

In sintesi, il BEREC ha detto alla Commissione: state rischiando di fare enormi danni all’ecosistema digitale europeo per rincorrere un obiettivo politico mal definito e tecnicamente infondato. È una bocciatura piena, netta, che speriamo venga tenuta in conto nei prossimi passaggi politici.

Key4biz. E sullo switch-off del rame, cosa dice il BEREC?

Giovanni Zorzoni. Anche su questo tema, il BEREC adotta un approccio pragmatico e di buon senso. Non esclude affatto un percorso verso lo switch-off del rame, ma sottolinea con chiarezza che non può esserci una data imposta per decreto, la transizione deve essere progressiva e ancorata alla realtà operativa. Noi non siamo certo sostenitori del rame a oltranza, ma abbiamo sempre ribadito che la migrazione alla fibra va accompagnata, non imposta dall’alto. I voucher connettività, che AIIP ha sempre sostenuto, sono uno strumento prezioso per incentivare questo passaggio in modo ordinato, proporzionale alla reale capacità delle imprese di completare le infrastrutture: imporre una scadenza rigida, senza tenere conto delle condizioni dei territori, rischia di generare disservizi e diseguaglianze.

Key4biz. L’Italia ha avuto un ruolo centrale in questa battaglia. Un caso?

Giovanni Zorzoni. No. L’Italia ha un tessuto di operatori straordinario: siamo l’unico Paese europeo con una quantità significativa di operatori che posseggono infrastrutture alternative in tantissimi territori. È la famosa duplicazione infrastrutturale, base concreta della resilienza di rete.

AIIP è da trent’anni la voce di questa rivoluzione che non solo non vuole finire, ma oggi vuole dare anche una risposta totalmente nazionale alle esigenze di cloud, software e servizi digitali realmente sovrani. Il fatto che proprio nel nostro trentesimo anniversario siamo riusciti a catalizzare una reazione europea così forte, lo considero non solo un segno, ma una dimostrazione che la nostra Associazione è più forte che mai. E ne siamo fieri.

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