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Segafredo Zanetti, il rilancio del caffè al bar: «Puntiamo ai giovani. E non crediamo ai dazi troppo alti»


di
Alessandra Puato

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«Debito ridotto da 421 a 350 milioni, margine lordo verso gli 80 milioni. Il marchio va rinfrescato». Il ceo Pierluigi Tosato racconta i piani un anno dopo l’ingresso del fondo Quattro R. Fine della sponsorizzazione alla Virtus

Dietro l’aumento del prezzo del caffè, inteso come materia prima, c’è anche il durian, in italiano durione. È un frutto tropicale dalla buccia spinosa che il Vietnam, grande produttore di caffè con il Brasile, ha iniziato a piantare nelle coltivazioni di caffè robusta, per diversificare. Questo sta riducendo l’offerta di «green coffee», il caffè vergine, mentre la domanda sale, perché anche in Asia si beve più caffè e meno tè. «Con qualche effetto speculativo», nota Pierluigi Tosato, ceo da un anno e tre mesi di Massimo Zanetti Beverage Group (Mzbg) che controlla Segafredo Zanetti. Dall’aprile 2024 il gruppo ha come socio di riferimento il fondo Quattro R e sta cambiando pelle. Riduzione del debito, spinta sui canali del food service (i bar, «come quelli italiani da cui siamo partiti») e prodotti nuovi come il caffè in grani per il macinino; più attenzione ai giovani, riposizionamento del marchio su una fascia più alta; taglio delle sponsorizzazioni (la Virtus, valore dichiarato 13 milioni l’anno) e anche dei costi con aggregazione di stabilimenti (due negli Usa) e riduzione delle filiali (Grecia).
Questa la ricetta di Quattro R, fondo guidato dal ceo Francesco Conte e presieduto da Flavio Valeri, azionisti con Stefano Cassina, Carlo Michero, Francesco Capurro e Guido Lorenzi, per Massimo Zanetti Beverage Group, holding dove la famiglia fondatrice con il presidente Massimo Zanetti è scesa al 47,28% del capitale. Il fondo ha il 52,72% insieme con la Coffee Holding, derivato di Quattro R con piccola quota; dichiara il 66,67% dei diritti di voto ed esprime tre consiglieri su cinque nel board, ceo compreso. Inoltre nomina i manager di prima linea.

Gli obiettivi, le aziende familiari

«Pensiamo di chiudere quest’anno con ricavi a 1,2 miliardi contro gli 1,050 del 2024 e gli 1,1 miliardi del 2023 — dice Tosato, veronese, ingegnere con master in Bocconi, già al vertice di società come Deoleo, Bolton Food e Acqua Minerale San Benedetto —. Soprattutto, contiamo di arrivare a 80 milioni di margine operativo lordo dai 62 milioni dell’anno prima (l’obiettivo dichiarato per quest’anno era di 75 milioni, ndr.). In quest’anno e mezzo abbiamo ridotto i debiti: la posizione finanziaria netta al 31 maggio scorso era di 350 milioni contro i 421 milioni del dicembre 2023. Inoltre con il nostro ingresso la società ha avuto un aumento di capitale da 102 milioni, fondamentale. I fondi sono ancora visti da alcune aziende come speculatori, invece possono portare sviluppo». Un errore di molte aziende familiari, secondo Tosato, è ancora di non preparare il ricambio generazionale e non favorire la meritocrazia. «Le vecchie generazioni spesso rimangono al vertice fino a 80-90 anni e le nuove arrivano nella stanza dei bottoni non pronte. Ma il vero punto debole è forzare i passaggi generazionali se non ci sono competenze. Gestire le aziende non è un diritto acquisito. Aprirsi alla Borsa o ai fondi e manager esterni può allungare la vita delle imprese».




















































Il taglio dei costi, la Virtus

Oggi Mzbg, che in Italia ha la sede produttiva a Bologna e un impianto per le capsule a Treviso, ha nel mondo 40 filiali, 20 stabilimenti, 400 negozi in franchising e 3 mila 300 dipendenti, «un centinaio in meno del 2024, soprattutto negli Usa: uscite concordate». Per ridurre il debito, dice Tosato, sono state prese «misure anche drastiche: abbiamo tagliato i rami secchi». Sono state unificate due fabbriche negli Stati Uniti, portando in Virginia anche la produzione che era nel New Jersey, ed è stata chiusa la filiale in Grecia. Inoltre è stata riorganizzata la governance, con la catena manageriale di controllo. «Dal 4 aprile 2024 tutto fa capo a me — dice Tosato —. Prima c’era il presidente Massimo Zanetti e quattro-cinque riporti che risiedevano in Italia e si occupavano di macroregioni. Ora ci sono 20 persone che da tutti i Paesi riportano al ceo. Abbiamo nominato un chief financial officer, un responsabile della catena di fornitura, un capo del marketing e una responsabile delle risorse umane con una organizzazione a matrice». Poi c’è il rebranding. «Il marchio va rinfrescato — dice il ceo —. Con i 13 milioni che si liberano dalla sponsorizzazione della Virtus (la squadra di basket resta di Massimo Zanetti, ndr.) useremo altre leve di marketing. Nel 2026 usciremo con un nuovo posizionamento, guardiamo di più ai giovani. Non vogliamo essere un’altra Lavazza o un altra illy, né cadere negli stereotipi italiani».

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La strategia, i dazi in fattura

Il piano industriale 2025-2028 prevede di raggiungere un margine operativo lordo di 110 milioni, con il giro d’affari a un miliardo e mezzo. Altri obiettivi sono salire con l’ecommerce e portare il food service dal 45% al 55% del fatturato. «Non è il momento delle acquisizioni, ci concentriamo su quello che c’è e non vogliamo rincorrere i volumi a tutti i costi — dice Tosato —. Puntiamo molto sull’Italia, dove si può fare molto bene».
Il 90% dei ricavi continua comunque a venire dal resto del mondo, in testa gli Stati Uniti. Qui il gruppo conta di rafforzarsi con «un piano nel food service», bar e ristoranti, malgrado i dazi: «Anzi, avere una produzione locale può essere un elemento di vantaggio sui concorrenti», dice il manager. Che annuncia anche di avere appena siglato un accordo per una joint venture in Arabia Saudita, al 75%, «con un operatore del food service al 25%». E di cercare l’espansione anche in Asia .
Sui dazi, Tosato crede poco alle minacce del presidente Usa, Donald Trump. La novità è che Segafredo ora li inserisce in fattura, per trasparenza, con la riga «tariffe». «I dazi per ora non hanno avuto un impatto sulla nostra attività, abbiamo continuato a vendere caffè — dice il ceo —. L’unico neo può venire dall’importazione negli Usa di caffè dal Brasile, dove Trump minaccia di portare i dazi al 50% dal primo agosto. In ogni caso, il costo sarà trasferito sul consumatore. Abbiamo deciso di mettere in chiaro sulla fattura la riga tariffe, perché il costo sia esplicito. Ma per noi non è credibile che si arrivi a dazi del 50% in Brasile, o del 30% in Europa».

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