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L’Italia, la UE, l’amico americano: Ecco cosa significa davvero (e cosa accadrà) – Torino Cronaca


Possiamo dire che, politicamente, ha un significato maggiore la visita di JD Vance in Italia che non l’incontro della premier Giorgia Meloni alla Casa Bianca con il presidente Trump? Intendiamoci: la missione diplomatica di Meloni è stata salutata, dagli osservatori acritici, come ben riuscita. Soprattutto, era necessaria. Non è un caso che la presidente UE Ursula von der Leyen abbia sottolineato il ruolo “ponte” di Meloni e dell’Italia nel rapporto con gli Usa. E la visita turistico-istituzionale del vicepresidente Vance è la conferma in forma mediatica: il grande amico americano, che Vance vuole interpretare meglio di Trump fra gelati al pistacchio e visita (mancata) al Colosseo, ci sarà ancora (forse). Ma al di là che il tycoon ha raccolto la promessa di investimenti di imprese italiane in Usa, per un valore di 5 miliardi, e che ha garantito all’Italia forniture militari, dialogo sugli scambi di import-export, ci si può veramente fidare di Trump? Il dialogo è possibile? Cosa significa, realmente, la politica economica di Donald Trump per l’Europa? Abbiamo raccolto le risposte di Giovanni Balcet, saggista e scrittore, già ordinario di Economia internazionale nell’Università di Torino, studioso di economia globale, vicepresidente dell’Osservatorio sulle Economie emergenti del Collegio Carlo Alberto di Torino.

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Parliamo proprio di questo: Meloni fa la mossa di andare negli Usa, mentre gli altri leader e l’Europa esitano sulla strategia. Gli Usa sembrano staccarsi da un Occidente come l’abbiamo sempre inteso. Questo Occidente è in crisi, ha problemi di coesione?

“Sta venendo meno l’intero sistema delle relazioni internazionali, non solo in campo economico. Pensiamo al declino dell’ONU e delle sue agenzie. Le picconate al multilateralismo hanno danneggiato soprattutto i paesi più piccoli e più poveri. Si torna al bilateralismo, cioè alla legge del più forte. Pensa a un paese povero come il Laos, finisce nel mirino di Trump perché ha un saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) attivo verso gli Stati Uniti. Come nasce quel saldo attivo? Il Laos è troppo povero per importare beni americani in quantità significative, e cerca di uscire dalla miseria esportando qualche capo di abbigliamento. A Trump questo non interessa, lui considera come atti ostili i saldi commerciali positivi degli altri paesi. L’ideologia che ispira le sue politiche attuali non è più quella neoliberista bensì quella neo-mercantilista. Il mercantilismo è una visione molto conflittuale dell’economia internazionale, vista come una torta da dividere, in cui i guadagni degli uni sono necessariamente le perdite degli altri. Dovremmo aggiornare le parole che usiamo. E preoccuparci per il futuro”

L’Europa stessa sembra divisa, frammentata. Meglio negoziare con l’America o volgersi a nuovi mercati come Cina e India?

“L’UE è divisa e stenta a diventare uno Stato federale. Il Sud emergente, le nuove potenze economiche, stanno prendendo le loro distanze dall’Occidente in campo economico come in campo politico. La doppia morale degli occidentali nelle guerre in corso (pensiamo al dramma di Gaza) ne ha largamente minato la credibilità. D’altronde la scelta di uscire dal progetto cinese di una Nuova Via della Seta (scelta condivisa dal governo italiano) è stata una scelta di rottura”

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Qual è il vero gioco economico-politico di Trump? Che segnale ha dato, per esempio, l’altalena dei dazi di inizio aprile? 

“Il voltafaccia del 9 aprile e i ripetuti colpi di scena, accompagnati da lucrative speculazioni in Borsa, non nascondono la realtà di fondo: resta un dazio americano del 10% su tutti i prodotti in entrata, più un dazio aggiuntivo del 25% su auto, acciaio e alluminio. Più i dazi proibitivi nei confronti della Cina, che ha risposto colpo su colpo. Più le minacce per il futuro. Il terremoto c’è stato e ha fatto molti danni, la svolta rispetto al libero scambio degli ultimi decenni è radicale. Da tempo la Cina è il concorrente principale, la nuova superpotenza economica. Il terreno di competizione sono le tecnologie digitali, il nuovo nazionalismo punta sull’innovazione più che sul manifatturiero tradizionale. La guerra commerciale è totale”

Cosa dobbiamo aspettarci, adesso, dai mercati?

“L’incertezza fa ballare i mercati, che temono molto anche l’inflazione, effetto collaterale dei dazi. Trump è stato ricondotto a fare i conti con la realtà dai suoi grandi finanziatori, ha aggiustato il tiro. Si è accorto anche che gli iPhone di Apple, come le auto elettriche di Tesla, vengono prodotti in Cina per poi essere esportati in America. Che bloccare il flusso di componenti auto dal Messico o dal Canada mette in crisi Detroit. Da tempo il commercio internazionale passa in larga misura attraverso le multinazionali, che operano in molti paesi diversi. Una fitta rete produttiva internazionale ha creato catene di fornitura intricate”.

Trump ha agito d’impulso, allora?

“Trump vive in una sua bolla di idee semplici e sbagliate. Come diceva Albert Hirschman alla base dell’economia ci sono interessi ma anche passioni. Nel suo caso l’ideologia populista è fortissima e aggressiva e lui ci crede. C’è da aspettarsi ancora sorprese, non buone”

La parola chiave, da qualche anno, è “deglobalizzazione”: dalle battute d’arresto per la pandemia, alla guerra in Ucraina, e ora Trump. Siamo arrivati alla fine della globalizzazione?

 

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“Questa svolta segna la fine della globalizzazione dell’economia, così come l’abbiamo conosciuta negli anni. Arriva dopo un lungo processo iniziato con la crisi dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e con la grande crisi finanziaria e produttiva del 2007-9. Non dimentichiamo che c’è stata una prima amministrazione Trump nel 2017-2020, che ha lanciato le sue guerre commerciali. Poi la pandemia da Covid e infine la guerra in Ucraina hanno messo in crisi le reti commerciali e produttive globali. C’è stato un ripiegamento, un riposizionarsi. I giochi sono aperti. È cambiato il paradigma neoliberista, ora il protezionismo è un’arma di potere”

Parliamo di Big Tech: prima hai detto che le tecnologie digitali sono il terreno di scontro.

“Sono al centro dello scontro con la Cina, che ha fatto grandi progressi. L’Europa è restata indietro. Trump non parla del potere monopolistico delle grandi piattaforme digitali, né dei saldi attivi americani nei beni tecnologici intangibili, esibisce una visione parziale e di comodo della realtà”

Come si esce dalla situazione attuale?

“Passando dalla guerra commerciale alla cooperazione economica internazionale. Per favorire un clima di commercio più equo e meno conflittuale sarebbe necessario ricostruire le istituzioni multilaterali, che proteggono anche i paesi più deboli e creano opportunità di sviluppo. Sarebbe una bella svolta rispetto ai venti di guerra di questi tempi”.



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