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Ma le tasse sul lavoro sono scese? No, ce n’è una «invisibile»: ecco perché i lavoratori sono più poveri (mentre i conti dello Stato migliorano)

DiAdessonews

Mag 13, 2025 #acquisto, #adeguamenti, #adeguamento, #Alcune, #aliquote, #almeno, #anomalia, #anomalia italiana, #appena, #Articolo, #artificiale, #aspetterebbe, #aumentato, #aumento, #bassi, #basso, #be, #ben, #busta, #Busta paga, #busta paga ultimi, #buste, #buste paga, #buste paga lorde, #ceti, #ceti medi, #ceto, #ceto medio, #chiarito, #Cina, #cioè, #confronto, #conti, #conti migliorano, #Contratti, #costo, #crescita, #cresciuto, #Cuneo, #decenni, #dello, #Detrazioni, #dipendente, #domanda, #doppio, #drag, #Ecco, #economie, #Esiste, #esiste anomalia, #esiste anomalia italiana, #esistono, #esistono tasse, #esistono tasse invisibili, #espresso, #espresso quantità, #espresso quantità euro, #euro, #euro euro, #euro soprattutto, #famiglie, #finanza, #finanza pubblica, #fiscal, #fiscal drag, #gettito, #grandezza, #inflazione, #invisibile, #irpef, #Italia, #italia povero, #italiana, #lavoratori, #lavoro, #medi, #Medio, #mentre, #Meta, #metà rispetto, #migliorano, #Monte, #monte buste, #monte buste paga, #mostra, #né, #ocse, #Paesi, #paga, #Pagano, #perché, #PIL, #più, #potere, #poveri, #povero, #proporzione, #pubblica, #quadra, #quantità, #redditi, #reddito, #ricchi, #ricerca, #ricerca sviluppo, #riguarda, #rispetto, #Salari, #scaglioni, #scese, #Sono, #soprattutto, #soprattutto ceti, #stato, #sul, #sviluppo, #taglio, #taglio tasse, #taglio tasse busta, #Tassa, #tassa invisibile, #tasse, #tasse busta, #tasse busta paga, #Tenere, #totale, #totale buste, #totale buste paga, #ultimi, #una
Ma le tasse sul lavoro sono scese? No, ce n’è una «invisibile»: ecco perché i lavoratori sono più poveri (mentre i conti dello Stato migliorano)


di
Federico Fubini

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Perché la finanza pubblica va bene, l’occupazione anche eppure il lavoro in Italia è sempre più povero, malgrado un taglio delle tasse sulla busta paga da 17,6 miliardi negli ultimi anni?

(Questo articolo è tratto dalla newsletter settimanale «Whatever It Takes» di Federico Fubini. Per iscriversi questo è il link)

Non tutto dei destini del nostro Paese si decide ai tavoli negoziali di Bruxelles, di Washington, nelle fabbriche cinesi o ai trading desk di Wall Street e della City di Londra. Per fortuna, un’ampia parte del nostro benessere è ancora nelle nostre mani, dipende dalle nostre scelte. 
Ed è qui che sorgono alcune domande. 
Perché la finanza pubblica va bene, l’occupazione anche. Eppure il lavoro in Italia è sempre più povero, malgrado un taglio delle tasse sulla busta paga da 17,6 miliardi negli ultimi anni? 
Cos’è che non quadra? Esistono tasse invisibili, di cui non ci accorgiamo ma che paghiamo per far quadrare i conti dello Stato? Ed esiste un’anomalia italiana, nel confronto internazionale? 
La risposta, purtroppo, è un doppio sì: esistono tasse invisibili ed esiste un’anomalia italiana. Ed entrambi questi fattori contribuiscono a spiegare perché il lavoro in Italia sia così povero, mentre i conti dello Stato migliorano. Vediamo.




















































Il dato della Banca mondiale che vedete sopra riguarda un’inversione di tendenza dopo un quarto di secolo. In Italia almeno dai primi anni ’60, ma probabilmente da prima, si è sempre investito poco in ricerca e sviluppo. In proporzione alle dimensioni delle rispettive economie si investe su questa voce la metà rispetto alla media internazionale, quasi metà rispetto alla Francia, metà rispetto alla Cina, praticamente un terzo rispetto alla Germania e agli Stati Uniti. Naturalmente una ragione di fondo dei bassi salari è lì: poca innovazione nella vita d’impresa e nei prodotti, pochi posti di lavoro qualificati e produttivi; sono temi messi a fuoco ormai da tempo.

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A che cosa servirebbe il Pnrr

Poiché lo sono, penserete: cosa si sta facendo per rimediare? Be’, domanda sbagliata. La domanda giusta è: perché peggioriamo ulteriormente? Il grafico sopra mostra che la spesa in ricerca e sviluppo in Italia – nell’era di intelligenza artificiale, robotica, spazio, biotech, fintech, semiconduttori, quantum computing, batterie, auto elettriche, tecnologie verdi e molto altro – ha preso a diminuire dall’anno 2020. Per la prima volta da decenni, costantemente. Eurostat ci dice che ora è in calo almeno fino a tutto il 2023, giù ad appena l’1,31% del prodotto lordo (Pil). Siamo uno degli ultimi Paesi dell’Unione europea, dietro Ungheria e Grecia. Il Piano nazionale di ripresa (Pnrr) non sembra aver avuto effetto, anzi.

Ricerca e sviluppo: le scelte virtuose

Da notare che invece la Cina ha reagito all’ondata di guerra commerciale durante il primo mandato di Donald Trump accelerando proprio su ricerca e sviluppo, dal 2018-2019, per rendersi autosufficiente per esempio sui semiconduttori; oggi controlla il sistema di intelligenza artificiale potenzialmente più avanzato al mondo, DeepSeek
Anche gli Stati Uniti hanno accelerato nello stesso momento, per tenere la Cina a distanza. 
Noi invece deceleriamo sia in assoluto che, ancora di più, nel confronto con tutte le economie importanti. Uno si aspetterebbe che la premier e i ministri dell’Economia o delle Imprese perdano il sonno di fronte a un problema del genere, perché così si stanno gettando le basi di altri decenni di lavoro povero, nuova emigrazione e ulteriore erosione demografica dell’Italia.

Il governo sembra più occupato a intervenire direttamente nelle partite di potere del sistema finanziario. Quanto al resto, è soddisfatto di riuscire a tenere i conti pubblici relativamente in ordine: nel 2024 il deficit è calato al 3,4% del Pil dal 7,2% dell’anno prima, un risultato sicuramente notevole e prezioso. Anche il debito tutto sommato è sotto controllo. Già, ma come ci stiamo riuscendo? E come mai ci stiamo riuscendo malgrado un taglio alle tasse sulla busta paga da 17,6 miliardi nelle ultime manovre di bilancio? C’è realmente qualche tassa che non ha odore, né sapore, né colore – una tassa invisibile – ma che si paga lo stesso?

Quello che non quadra

Per farsi un’ipotesi su cosa sta succedendo dobbiamo tenere presenti alcune grandezze che riguardano gli sviluppi nel Paese fra il 2021 e il 2024.

La prima è senz’altro positiva perché riguarda il numero degli occupati, che negli ultimi quattro anni è cresciuto del 9,2% (oggi in Italia vivono oltre 24 milioni di persone che hanno un posto di lavoro, un record).

La seconda grandezza riguarda il volume totale espresso in euro delle buste-paga lorde del lavoro dipendente, cresciuto dell’11,5% (da 738 miliardi di euro nel 2021 fino a 823 miliardi di euro nel 2024, secondo l’Istat).

La terza grandezza poi è l’inflazione, cioè l’aumento medio del costo della vita accumulatosi negli ultimi quattro anni, del 17,6% (secondo il più comune indice Istat).

La quarta grandezza è invece l’aumento del gettito dell’Imposta sui redditi delle persone fisiche, l’Irpef, che è del 18,85% (da 198 miliardi di euro nel 2021 a 235,5 miliardi di euro nel 2024, secondo il Dipartimento delle Finanze)

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A colpo d’occhio, in questa sequenza qualcosa non torna. Per esempio va chiarito perché il totale delle buste-paga lorde in Italia cresca solo dell’11,5%, anche se già gli adeguamenti dei contratti all’inflazione valgono circa il 10% e a ciò si dovrebbe aggiungere un altro 9,2% di occupati in più rispetto a quattro anni fa. In sostanza va chiarito perché il volume di salari e stipendi espresso in quantità di euro stia crescendo la metà di quanto uno si aspetterebbe. Probabilmente perché le persone che vanno in pensione avevano contratti molto più remunerativi rispetto ai nuovi assunti; dunque, il costo medio per dipendente in Italia tende a scendere in termini reali. Esce gente ben pagata, entra gente mal pagata. Siamo in piena deflazione salariale, in pieno lavoro povero. Così negli ultimi quattro anni il monte totale delle buste-paga in Italia è arretrato – ha perso il 6,1% – in proporzione al costo della vita malgrado oltre due milioni di lavoratori dipendenti in più.

Ma perché paghiamo più Irpef? Il peso nascosto delle tasse

Poi però c’è l’altro punto che, intuitivamente, non quadra. Se il monte buste-paga calcolato in euro è salito dell’11,5% dal 2021 e il governo ha persino tagliato l’Irpef sui redditi più bassi, perché allora il gettito dell’Irpef è aumentato persino più del monte delle buste-paga? Ricordo il numero, quest’ultimo è aumentato del 18,85% e cioè ha avuto un ritmo di crescita quasi doppio rispetto al totale buste-paga.

La tassa invisibile: il «fiscal drag»

Questa è la stranezza che si spiega con la tassa invisibile. È il cosiddetto «fiscal drag», il «trascinamento fiscale» determinato dagli adeguamenti dei salari all’inflazione. Le aliquote sulla base delle quali si calcola l’Irpef in Italia infatti non salgono di pari passo con l’inflazione o con gli adeguamenti medi dei contratti di lavoro. Quelle restano, notoriamente, sempre fisse: gli scaglioni sono 23% fino a 28 mila euro di reddito, 35% da 28 mila a 50 mila e 43% oltre 50 mila. Ma durante questi quattro anni l’adeguamento delle buste-paga al costo della vita – per quanto parziale, molto parziale – ha spinto parecchie decine di miliardi di euro, forse fino a circa cento miliardi di euro soprattutto dei redditi medio-bassi, oltre le soglie e dentro gli scaglioni Irpef superiori

Inoltre per lo stesso fenomeno milioni di famiglie hanno perso detrazioni automatiche, che diminuiscono al crescere del reddito espresso in quantità di euro. Ma appunto la crescita del reddito è solo apparente, perché l’inflazione intanto si è mangiata ben più degli aumenti da contratto. Mentre la crescita del prelievo Irpef, be’, quella è reale: in sostanza meno reddito, in compenso tassato di più.

Va sottolineato che questo fenomeno investe soprattutto la parte dei ceti bassi che perde le detrazioni previste fino a 15 mila euro e soprattutto i ceti medi che superano le soglie dei vari scaglioni, mentre chi è già ben sopra i 50 mila euro viaggia per lo più al riparo dalla “tassa invisibile”. Dunque da un lato le famiglie del ceto medio-basso hanno versato più Irpef, dall’altro hanno visto ridursi il potere d’acquisto delle loro buste-paga prima delle tasse.

Ma le tasse sul lavoro sono scese? No, sono aumentate. Il record dell’Italia è il peso del fiscal drag

Dove siamo nell’Ocse

Il grafico sopra, basato da stime del Corriere sui più recenti dati Ocse, mostra che la perdita di potere d’acquisto in Italia dal 2021 per il mancato pieno adeguamento dei contratti al costo della vita è del 7,2%: la terza maggiore fra i 37 Paesi di questo club.

Quanto vale il fiscal drag per le famiglie italiane

Resta da precisare un punto: quanto vale la “tassa invisibile”, quanto è elevato il prelievo da fiscal drag? Se il gettito Irpef nel 2024 è di 235 miliardi ed è salito del 7,35% più in fretta del monte buste-paga, la differenza di tasse versate in più è di 17,2 miliardi solo per l’anno scorso. Una tassa “invisibile” che vale quasi l’1% del Pil. 
Lo so che la mia stima è grezza e che non è solo il lavoro dipendente a pagare l’Irpef, ma essa coincide con i calcoli ben più corretti degli economisti Marco Leonardi e colleghi. Ora, questa quantità di tasse risulta più o meno uguale a quella che il governo sottolinea di aver tolto ai redditi più bassi grazie al taglio del cuneo; ma nel frattempo per compensare aveva anche cancellato varie detrazioni sempre sui contratti. Dunque non è vero che il governo ha ridotto le tasse sul lavoro: complessivamente le ha alzate, soprattutto per i ceti medi. Infatti nel Documento di finanza pubblica 2025 appena pubblicato si nota il forte aumento delle imposte dirette e del totale delle entrate correnti nel 2024 in proporzione al Pil; mentre “Taxing Wages 2025” dell’Ocse mostra che l’Italia l’anno scorso ha avuto di gran lunga il più forte aumento del cuneo fiscale fra i 37 Paesi e siamo risaliti alla quarta posizione per prelievi più alti sulle buste paga. E il lavoro, a causa del basso investimento in ricerca, sviluppo e conoscenza, si impoverisce di suo.

 

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Solo un’opposizione incredibilmente fuori fuoco rispetto alla situazione reale del Paese poteva non accorgersene e non dire alcunché.

La Flat tax all’italiana

Intanto circa cinque milioni di contribuenti, spesso dotati di buoni patrimoni, sono al riparo dalla tassa “invisibile” perché pagano aliquote decisamente più basse e soprattutto piatte: dalle cedolari secche sugli affitti, all’eponima flat tax, alle rivalutazioni di società non quotate, ai redditi da capitale, ai “redditi dominicali” in agricoltura, ai catasti preistorici e si potrebbe continuare.

Il ceto medio che paga le tasse (e i ricchi che non le pagano)

Così in Italia il ceto medio del lavoro dipendente paga sempre di più aliquote da ricchi, mentre almeno alcuni ricchi pagano aliquote più simili a quelle da poveri
Lo so che suona populista. Si può essere d’accordo o no, qualcuno potrà persino svolgere rispettabili valutazioni per sostenere che c’è una logica economica. Ma questi sono i fatti. E la Costituzione italiana, all’articolo 53, dice che «tutti concorrono alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Non è ancora stata emendata.

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